Il Messaggio sullo Stato dell’Unione è uno strumento formidabile nelle mani della Casa Bianca per propagandare le sue strategie, urbi et orbi. Viene letto a gennaio di ogni anno e rappresenta la letterina dei “buoni propositi”, dei tanti sogni, post-natalizi. Durante il primo mandato serve a fare legna, per accumulare meriti in vista della (possibile) rielezione per il “second term”. Negli ultimi quattro anni rappresenta, invece, una sorta di “testamento spirituale” oltre che un doveroso esercizio di democrazia diretta. Il Presidente parla, col cuore in mano, alla nazione, e le dice come stanno le cose. Cerca medaglie e glorie da far vedere ai nipotini? Anche. Ma soprattutto, specie nel suo ultimo anno di mandato, prova a infiocchettare il pacchetto elettorale del suo partito, per favorire l’elezione del prossimo “front runner” di casa alla Presidenza. Nel caso specifico, (forse) la democratica Hillary Clinton. Bene, qualcosa non torna. L’ultimo Discorso sullo Stato dell’Unione di Obama, al di là delle apparenze, non è sembrato di quelli da incorniciare e appendere al muro. Ordinaria amministrazione, insomma. A qualcuno, poi, è apparso fin troppo ottimistico, rispetto al calamitoso 2015, lasciando la sensazione che il Presidente abbia volutamente bluffato, senza preoccuparsi, però, di recitare per bene la parte del biscazziere convincente. Bluffava, insomma, ma le scartine gli cadevano dalle mani, mentre gli assi gli traboccavano fuori dai polsini. È stato un mezzo disastro mediatico e, aggiungiamo noi, un assist al veleno per la non proprio amatissima Hillary. Che in cuor suo avrà stramaledetto mille volte Obama. Specie per le parole flautate (o melense, o melliflue, fate voi) sulla guerra mondiale all’Isis. Molto meno propizia di quanto vada predicando Obama. E siccome la mosca al naso agli elettori americani salta quando i presidenti mentono (o non la raccontano giusta), allora la frittatona con 12 uova è fatta. Perché l’analisi della Casa Bianca sul “Califfo” sembrava scritta da Hans Christian Amdersen e dai fratelli Grimm messi assieme. Insomma, una favola. O, peggio ancora, un cumulo di menzogne male assortite. E siccome gli israeliani, in maggioranza, non possono soffrire Obama e vedono come il fumo agli occhi la Clinton, gli hanno tirato fuori gli altarini, organizzando uno sfonda-piedi elettorale di quelli memorabili. Un prestigioso think-tank che opera su Tel Aviv ha lanciato, quasi di sguincio, una notizia di quelle che ti rovinano il week-end per un anno. Dunque, al Central Command Headquarters, della MacDill Air Force Base, in Florida, (i solerti e precisissimi israeliani, a onta di smentite, hanno fornito nomi, cognomi e indirizzi) si è svolta una riunione, “riservatissima”, sulla reale situazione della campagna mediorientale, alla quale sarebbero intervenuti alti ufficiali, esponenti dell’Intelligence e rappresentanti dell’Anti-terrorismo Usa. La sentenza uscita fuori dal meeting è la seguente: l’Isis e il “Califfo” godono ancora ottima salute e le cifre snocciolate da Obama nel Discorso sullo Stato dell’Unione sono false. Punto. Per darvi le proporzioni dell’imbroglio, occorre dire che il Presidente ha assicurato che l’Isis ha perso il 40% dei territori che controllava in Irak e il 20% in Siria. Informazioni riviste e limate (molto limate) quando, nel chiuso delle stanze, i generali “yankee” si sono guardati negli occhi, lontani dalle telecamere.
I numeri dati da Obama si sono tragicamente sgonfiati, riducendosi della metà. Ergo: dopo una guerra mondiale che dura da mesi, sostenuta da una coalizione extralarge a cui tiene bordone (e che bordone!) anche compare Putin, l’Isis ha perso solo il 20% del suo territorio in Irak e la miseria del 10% in Siria. Con l’avvertenza che quest’ultimo dato dev’essere rivisto, dato che, negli ultimi giorni, le milizie dello Stato Islamico, al contrattacco, si sono pappate una bella porzione di territorio dalle parti di Deir ez-Zor L’unico annuncio che sembra confermato è quello relativo agli stipendi dei jihadisti, che sarebbero stati dimezzati “per problemi di liquidità”. Anche se, su questo punto, va fatta ulteriore chiarezza. A Washington avevano attribuito i meriti del salasso ai bombardamenti, che avrebbero mandato in fumo milioni di dollari. Invece, al vertice svoltosi in Florida, l’hanno raccontata diversamente. Segnatevi bene col cerchietto reso la seguente (e sconsolante) analisi: i bombardamenti russo-americani e quelli fatti dall’altra caterva di alleati finora non hanno fatto al “Califfo” nemmeno il classico baffo. Almeno, rispetto alle missioni effettuate e alle bombe sganciate, gli obiettivi raggiunti sono miserelli. Per non dire che manco si vedono. Il petrolio dell’Isis viene estratto, raffinato e trasportato come niente fosse con l’assistenza degli ex ufficiali irakeni di Saddam Hussein. Quegli stessi specialisti che già si beffarono, al tempo che fu, dei controlli di Pulcinella fatti dall’Onu e dagli americani. Insomma, le cose vanno talmente bene che, a quanto pare, il “Califfato” avrebbe istituito anche una specie di Ministero del Contrabbando. Capito mi hai? E per sottolineare come stiano effettivamente i bussolotti, al di là dei bombardamenti (evidentemente fatti a casaccio), i Servizi occidentali confermano che lo Stato Islamico continua a incassare la bellezza di 50 milioni di dollari al mese solo sfruttando la potenzialità dei pozzi conquistati. Altrettanto fiorente sarebbe il mercato di carne umana, con i prigionieri rivenduti come schiavi al miglior offerente o, quando possibile, alle tribù di provenienza. E allora? Chi ha suggerito la “spending review” al “Califfo”, fino a far tagliare del 50% gli stipendi degli scanna-pecore ai suoi ordini? Beh, secondo gli israeliani la risposta non è di quelle confortanti. Sembra che l’Isis abbia deciso di cominciare a organizzare, in concorrenza con al-Qaida, attentati spettacolari all’estero, trasformando il suo caposaldo di Raqqa nella capitale mondiale del terrore. E siccome fare grandi attentati costa un sacco e una sporta di soldi, vista anche la lunga filiera che bisogna foraggiare, ecco spiegato il risparmio decretato dallo Stato Islamico per le operazioni sul campo di battaglia. Programmare tutto questo macello, dicono i “ragionieri” israeliani, è costato almeno 120 milioni di dollari. Ecco spiegato perché l’Isis ha stretto i cordoni della borsa ai suoi “impiegati”. Né ci risulta che i sindacati locali abbiano osato farfugliare qualche protesta, anche perché, si dice che il “Califfo” conosca i mezzi per evitare qualsiasi sciopero.
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