La macro-area di crisi mediorientale è un boccone troppo grosso per qualsiasi potenza voglia atteggiarsi a “poliziotto del mondo”.
L’abbiamo scritto fino alla noia e lo ripetiamo: o ci si mette tutti assieme a spingere il carro-matto della pace nel verso giusto o i buoi, ormai sull’orlo di una crisi di nervi, continueranno a girare in tondo, senza senso e assestando cornate al primo che passa.
L’hanno capita quest’antifona quelli che contano?
Pare di sì, perché le notizie che ci giungono sullo zibaldone diplomatico avviato negli ultimi sei mesi parlano di un patto d’acciaio, anzi, di titanio (vista la fine miserella fatta dall’ultimo “patto d’acciaio” della storia) tra Stati Uniti e Russia.
Dunque, da altissimo loco (a giudicare il “ranking” delle Agenzie di Intelligence) arrivano conferme, con grande dovizia di particolari. Questa volta Barack Obama e Vladimir Vladimirovic Putin si sono seduti a tavola come due compari d’anello, hanno mangiato e tracannato di tutto e di più e non sono riusciti a nascondere né il menu e manco le mollichine che cadevano dalla tavola.
No, questa volta l’accordo sulla Siria tra i due ex nemici è stato suggellato con la ceralacca.
Gran cerimonieri del pranzo di “nozze” sono stati i due Ministri degli Esteri, John Kerry e Sergei Lavrov. Ma chi ha fatto il lavoro duro (ci dicono) dalle fondamenta fino alla soletta, sono stati due “super-sherpa”, l’inviato del Dipartimento di Stato, Brett H. McGurk, e il vice Ministro degli Esteri di Mosca Mikhail Bogdanov.
Il primo ha preso il posto del generale John Allen a capo della coalizione anti-Isis, mentre Bogdanov è l’uomo di fiducia di Putin per le politiche mediorientali.
Senza troppi giri di parole, ecco i termini del patto Usa-Russia per come sono stati spifferati dagli specialisti di Intelligence occidentali:
1) Americani e russi si sono impegnati seriamente a fare ingoiare il rospo siriano ai loro alleati più riottosi (nell’ordine, turchi, sauditi, iraniani e governativi di Damasco); 2) Chi non si allinea verrà ricondotto all’ordine. Con lo scudiscio o con altri mezzi. A Mosca e Washington non sono così fessi da usare le maniere spicce al primo diniego. Hanno gli strumenti per essere persuasivi;
3) Tagliato, con un coltellaccio, il nodo gordiano delle milizie che si accapigliano le une con le altre, in stile rissa da osteria. Chi vuole continuare a “contare” dovrà stare al gioco e sarà “remunerato”. I russi, per esempio, hanno accettato la presenza, a Ginevra, del gruppo salafita di Jaish al-Islam, sponsorizzato dai sauditi e vicino ad al-Qaida. Gli americani, dal canto loro, hanno dovuto abbozzare, accettando la presenza del Syrian Kurdish Democratic Union Party, il braccio politico delle milizie curde YPG. Immaginatevi la reazione dei turchi….;
4) Assad e i suoi familiari dovranno smammare o accontentarsi di una pensione “dorata”. Per loro non c’è più spazio ai vertici della Siria. Putin su questo punto è stato chiaro col padre-padrone di Damasco. Il leader russo punta a rafforzare l’esercito siriano sostituendo progressivamente tutti gli ufficiali legati al clan di Assad con uomini di sua fiducia;
5) Tuttavia, per evitare pericolosi salti nel buio, americani e russi hanno deciso di salvaguardare l’attuale cornice istituzionale del Paese e la gran parte dei funzionari statali. Sarà così garantita la transizione;
6) I due “soci” naturalmente non si aspettano un cammino che sia tutto rose e fiori. Entrambi sono consapevoli che le diverse milizie, gli estremisti sunniti e quelli sciiti, Hezbollah e parte dell’establishment iraniano, avranno molto da eccepire. In questo caso i possibili attacchi al “patto” saranno affrontati singolarmente, step by step. Sia Obama che Putin hanno approvato alla virgola, la scorsa settimana, tutti i termini dell’accordo.
Il Presidente Usa si è alleato con Putin, obtorto collo, dopo esattamente cinque anni dal disastro “Arab Spring”, che aveva abbracciato con una certa sprovvedutezza. Superato il vaglio della diplomazia, ora la Santa Alleanza dovrà essere organizzata sul campo. In primis, nel Kurdistan siriano. Gli americani hanno già occupato la base aerea di Remelan, vicino Hassakeh. A una novantina di chilometri a nord-ovest, a Qamishli, si sono invece piazzate le forze russe.
Secondo alcuni Servizi segreti occidentali, la base di Remelan, che per ora ospita solo elicotteri, sarà allargata per accogliere gli aerei cargo che dovrebbero trasportare i paracadutisti Usa della 101.
Divisione, destinata a diventare la forza d’élite nell’attacco all’Isis. I russi, dal canto loro, dividendosi i compiti col Pentagono, si stanno concentrando sulle città di Palmyra e di Hama. In arrivo ci sono truppe speciali dotate di artiglieria pesante, mentre gli strike aerei per bombardare le milizie islamiche sono stati raddoppiati.
Sono stati impiegati, nell’area di Deir ez-Zour, anche i Tupolev TU-22 M, giganteschi bombardieri capaci di sganciare tonnellate di esplosivo ad alto potenziale. I Tupolev decollano dalla Russia meridionale e trasportano 24 tonnellate di bombe fino in Siria.
Sono dotati, inoltre, dei modernissimi missile “Raduga” e possono imbarcare armi nucleari. Per ora i russi colpiscono incessantemente le milizie dell’Isis, quelle di al-Nusra (affiliate ad al Qaida) e le unità dell’Islamic Movement of the Free Men of the Levant. Naturalmente, come abbiamo già anticipato, più si stringe l’alleanza russo-americana e meno si dorme la notte ad Ankara e a Riad.
Per cercare di gettare acqua sul fuoo, Obama ha spedito il suo vice, Joe Biden, a “confortare” (ma forse sarebbe meglio dire “ad ammansire”) il president turco Erdogan e il premier, Ahmet Davutoglu. Il Segretario di Stato Kerry, invece, si è preso la rogna di andare a trovare il re saudita Salman e gli inferociti Ministri del Consiglio di Cooperazione del Golfo. Per la verità, a posteriori, I viaggi dei due diplomatici americani hanno avuto l’acre sapore dell’ultimatum. Parlando anche a nome di Putin, Biden e Obama, hanno detto che Russia e Stati Uniti ne hanno piene le tasche e che adesso, vogliono finire prima possibile la Guerra in Siria, gettando a mare il “Califfo” con tutte le scarpe.
E come post scriptum, nel bigliettino della loro visita, hanno scritto: “Guai a chi si mette in mezzo”. Giusto. Anche se, questa bella pensata, avrebbero anche potuto farla 300 mila morti fa.