Lunedì 23 Dicembre 2024

Un “Paese per vecchi” che sa affidarsi ai giovani

Un “Paese per vecchi” che sa affidarsi ai giovani

Un bel patto fiduciario ha contrassegnato il Festival di Sanremo che si è appena concluso. Da una parte, c’è stata un’ampia apertura di credito da parte dei telespettatori. Non tutti gli italiani, naturalmente: perché, pur in presenza di eventi “imperdibili”, c’è chi continua a vivere senza tv. Ma si suol dire che in certi casi “il Paese si ferma”: negli Usa per il Superbowl e qui per Sanremo. A ciascuno il suo. Viva l’eccezione culturale. E di fronte all’entità di certi numeri, più che alla sociologia si dovrebbe ricorrere, in senso proprio, all’antropologia culturale.
Dall’altra parte, c’è stata “mamma Rai” a ricambiare con quanto di meglio ritiene di offrire: un cerimoniere, Carlo Conti (confermato per il 2017), impeccabile nel condurre la narrazione assieme a compagni affabili come le figure più amene e meno travagliate tra quelle analizzate da Propp nel suo schema.
Tuttavia Sanremo è anche (soprattutto) competizione. E qui la dimensione fiabesca è stata lievemente più contrastata. Ma sono solo canzonette.
Più interessante è invece valutare due “miti” sanremesi. Il primo: non ci sono più le belle canzoni di una volta. Osservazione “nostalgica”: la migliore musica leggera nazionale a volte si è incontrata col Festival. Molte altre no. Inoltre i giovani d’oggi esprimono la propria creatività con il rap e ormai il mercato discografico si è liquefatto.
Il secondo “mito”: ogni edizione di Sanremo è lo “specchio” momentaneo del Paese. Se fosse vero, dal 66° Festival si potrebbero avere indicazioni sull’Italia del 2016. Sappiamo che hanno vinto gli “Stadio”, gruppo in attività da 40 anni e con un leader, Gaetano Curreri, nato nel 1952. La loro canzone “Un giorno mi dirai” si basa sulle accorate parole di un padre alla figlia, e ha messo d’accordo sia il televoto sia le giurie di esperti. Ora gli “Stadio” dai capelli imbiancati rinunciano a rappresentare l’Italia all'Eurofestival, spianando la strada alla seconda classificata, Francesca Michielin, nata nel 1995. L’immagine che vien fuori non appare “sociopolitica”, bensì demografica: l’Italia è, sempre più, un Paese per vecchi. Ma per fortuna sa affidarsi ai giovani. Veramente giovani.

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