Sabato 23 Novembre 2024

Siria, ecco perché
i russi vincono

Alla Casa Bianca si guarda con invidia e qualche timore ai crescenti successi degli occasionali alleati

Guerra in Siria: al Pentagono sono preoccupati, anzi, hanno i sudori freddi alla schiena, per usare un eufemismo. Al Dipartimento di Stato, invece, la soddisfazione si taglia col coltello: perchè è stato John Kerry il principale “avvocato” dell’alleanza con Putin in Medio Oriente. In mezzo, c’è la Casa Bianca, tra due cuori. Obama è contento perchè, finalmente, la battaglia contro il “Califfo” marcia alla grande. Ma, nello stesso tempo, comincia ad avere tutti i capelli bianchi per le notizie che gli arrivano dal fronte, dove la Russia fa di nuovo paura. Così gli specialisti occidentali, a cominciare da quelli israeliani, stanno monitorando con la lente d’ingrandimento il campo di battaglia, per capirci qualcosa. A Washington si chiedono, con la coda tra le gambe: ma come è stato possibile che 120 aerei da guerra e un pugno di elicotteri da combattimento spediti da Putin negli ultimi sei mesi abbiano potuto cambiare le sorti del conflitto, che arrancava da ben cinque anni. I generali americani, che hanno più stelle della carta del presepe, sono tramortiti dal successo dell’ex Armata Rossa. A Gerusalemme fanno il paragone con la Seconda Guerra del Libano, nel 2006, quando la loro aviazione martellò massicciamente per giorni e giorni le milizie di Hezbollah (18 mila combattenti) senza tirare fuori il classico ragno dal buco. E ora che gli attacchi coordinati dai russi sono diretti contro ben 100 mila anti-Assad, perchè i risultati appaiono così spettacolari? I bombardamenti di Obama, portati avanti per 18 mesi dalla coalizione guidata dagli americani, finora hanno ottenuto risultati a capocchia. Un solo grande successo (a Raqqa, nell’agosto del 2014) e per il resto solo sacchi parati all’impiedi e spaventose distruzioni a casaccio, con i civili, assolutamente incolpevoli, messi in mezzo a pagare il prezzo più pesante della carneficina. È ancora troppo presto, dicono gli specialisti israeliani, per stabilire se la dottrina militare russa sia assolutamente vincente rispetto a quella occidentale. Ma se la piega presa dagli avvenimenti sul terreno dovesse continuare, allora sarebbe giunta l’ora di ripensare profondamente alle strategie belliche degli americani e di tutta la loro compagnia di processione. Magari convincendo qualche battaglione di generali stellati e medagliati a dedicarsi al giardinaggio: rinforza la salute e non fa danni. I russi hanno centralizzato la loro base siriana a Khmeimin, vicino Latakia, schierando i micidiali Sukhoi Su-24 e Su-25 per condurre azioni ripetute di attacco al suolo (ognuno di questi aerei imbarca ben 8 tonnellate di bombe). A seguire, sono poi stati impiegati quattro S-34, altrettanti S-35, e Antonov An-124. Entrati in combattimento anche gli elicotteri corazzati Mi-8 e Mi-24 e i Tu-214R da scoperta aerea e dotati di sofisticati strumenti elettronici per la guerra “Sigint” (Signal Intelligence Intercepts) e quella definite “Elint” (Electronic Intelligence Intercepts). In entrambi i casi l’efficienza russa, molto superiore a quella prevista, sta definitivamente terrorizzando i circoli militari occidentali. Così si azzardano diagnosi sull’eccellenza dei nipotini di Stalin. Una delle chiavi sembrerebbe l’utilizzo massiccio di aerei su un singolo obiettivo e il contemporaneo coordinamento con gli attacchi da terra, organizzati da un “supercomando” gestito esclusivamente dai russi. Cosa che loro riescono a fare, trattando evidentemente gli “alleati” (siriani, libanesi, persiani e via di questo passo) a bacchettate nelle mani, mentre, è la sconsolata constatazione di Washington, gli americani non riescono a farsi obbedire nemmeno dai cani-lupo di guardia all’ingresso della base. I russi, invece, che nella loro millenaria tradizione hanno avuto nemici e alleati di ogni genere, anzichè adattare gli altri alle loro tattiche, hanno deciso di tenere conto, rispettandole, delle caratteristiche di ognuno. Amico o nemico. Intingendo la penna nel curaro, gli analisti sottolineano che mentre gli americani gettano bombe, come si direbbe dalle nostre parti “a t’inchi, tè”, (a “saturazione”, forse fa più fino…) spesso senza troppe distinzioni tra obiettivi militari e bersagli civili, i russi, invece, selezionano accuratamente i loro “target”, puntando soprattutto a colpire e a spezzare le catene di comando. Insomma, pare di capire, siccome la guerra è una cosa tragica, meglio prenderla sul serio, per farla finire prima possibile. E qui ci siano consentite una divagazione e una chiosa finale. Questa pretesa superiorità del piffero dei loro stati maggiori, vantata dagli Stati Uniti, non sta nè in cielo nè in terra. Anche in questo i nostri amiconi d’Oltreatlantico, mancando di storia e tradizioni, hanno dovuto lavorare di fantasia.

Così hanno costruito la fama delle loro forze armate in modo posticcio, come quei grandi alberghi di Las Vegas dove il Colosseo è di plastica e il cortile viene allagato per farlo sembrare Venezia. Il loro stratega più bravo, in effetti e pubblicistica alla mano, è stato il generale Lee, il capo dei confederati, che poi però ha perso la Guerra di Secessione. E il generale Washington? Ha battuto gli inglesi durante la Guerra d’Indipendenza, perchè i suoi nemici non vedevano l’ora di tornarsene a casa. Le battaglie “serie” le ha perse quasi tutte e ha vinto, invece, gli scontri che sembravano scaramucce di guerriglieri, tra boschi, fattorie e galline starnazzanti. Alla fine gli inglesi, fatti quattro conti, hanno mollato per spossatezza. In questo Museo delle cere della gloria militare fabbricata a tavolino non potevano mancare Patton e Custer. Il primo è stato un buon generale, ma niente di più. Un efficiente impiegato statale dell’Us Army, indubbiamente coraggioso, ma dal carattere collerico, più adatto a una rissa da osteria che a pianificare Waterloo, tanto per capirci. Messo accanto a giganti come Von Rundstedt, Rommel, Montgomery e Zukov, il buon Patton avrebbe tutt’al più potuto comandare una fureria. “Capelli Gialli” Custer, invece, sottovalutando (e ti pareva!) la capacità strategica dei Sioux, si è fatto sterminare tutto il reggimento dagli indiani, armati di archi, frecce, lance, zagaglie e qualche vecchio fucile. Aveva i cannoni ma non li utilizzò, “perchè pesavano troppo” per portarseli appresso. Aveva le micidiali mitragliatrici Gatling, ma le lasciò a casa, perchè contro “quei selvaggi” sarebbero bastati i Winchester. Non aveva fatto i conti, però, con Toro Seduto e Cavallo Pazzo. Indiani sì, ma coraggiosi, intelligenti e soprattutto combattenti raffinati, che non presero mai sotto gamba il nemico. Lo rispettarono sempre e, soprattutto, fecero la guerra quando proprio non ne poterono fare a meno. Sono loro i due più grandi generali americani.

leggi l'articolo completo