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Le origini di una
guerra “umanitaria”

Le origini di una guerra “umanitaria”

Ora che qualcuno (pare), ha deciso di mettersi uno scolapasta in testa per sentirsi conquistatore del mondo, in Libia, a noi, poveri fantaccini, non resta che pagare le pere. Conquistatori del mondo? Ma noi che c’entriamo? Niente. Appunto, direbbe il saggio. C’è sempre qualcuno che paga il conto della sbafatoria degli altri, magari senza sapere perchè. E per l’occasione, il “Cassone di sabbia” libico, di giolittiana memoria. hanno provato a papparselo gli “altri”, senza riuscirci. L’invasione anglo-franco-americana è stata di un velleitarismo unico, come un orso che, infoiato dall’odore del miele, finisca per calarsi un intero alveare, api comprese. Ora, però, fallito il piano “attacca e spolpa”, è rimasto solo quello “prendi i soldi e scappa”, magari facendosi aiutare da chi (l’Italia) dopo l’intervento contro Gheddafi aveva tutto da perdere. E che ora, dopo quello contro il “Califfo”, rischia di diventare il bersaglio numero uno dei bombaroli di mezzo mondo, uscendone con tutte le ossa rotte. Ma da dove parte tutto questo macello? Il “piattino” era pronto da tempo. Ormai l’hanno capito tutti. Alle origini della prima guerra di Libia c’è un colossale imbroglio, perché sotto la verniciata dei nobili ideali sbandierati ai quattro venti, gratta gratta, spuntano sordidi interessi di bottega, travestiti da carnevale, con la maschera dell’“intervento umanitario”. Per carità, sgombriamo subito il campo da ogni equivoco, che potrebbe ingenerarsi nelle menti dei benpensanti in servizio permanente effettivo: Gheddafi non è stato solo un sanguinario dittatore, ma è stato pure un cervellotico autocrate che per circa quarant’anni ha fatto carne di porco del suo Paese. Appunto. Ha fatto il bullo per una vita e i “volenterosi” si sono svegliati dopo un eterno letargo. Guarda tu! E che non si venga a parlare solo di “rivolta popolare”, come in altri Paesi della Mezzaluna, cercando di ignorare che quella libica è stata, prima di tutto, una guerra tribale o, se volete, più all’ingrosso per capirci, Tripolitania contro Cirenaica. Una cosa che sapevano molti “esperti”, meno quelli che avrebbero dovuto avvisare i politicanti, impedendo loro di sproloquiare. Eppure col raìs hanno concluso affari d’oro tutti, forse meglio e più degli italiani. I francesi, tanto per fare un nome a caso, hanno venduto armi, non hanno disdegnato il “business” del petrolio e si sono accaparrati la benevolenza del regime firmando un memorandum d’intesa che dava loro mano libera sull’uranio del Tibesti. Sia quello che si presume sia sepolto sotto il deserto libico, sia quello che (sicuramente) si estrae dalla Fascia di Azou, nel Ciad. Una regione (e una ragione) per la quale Parigi ha fatto indirettamente più di una guerra, fino a quando Gheddafi, spendendo e spandendo dollari, non si è comprato anche la benevolenza del governo ciadiano, costringendo “Sarkò” a passare dalla porta di servizio.

I transalpini non si sono persi d’animo e la “Areva”, società mineraria francese che aveva il 100% della “Uramin” (impresa che esercitava i diritti di sfruttamento) ha raggiunto un’intesa con i cinesi della Guandong Nuclear Power, per cedere il 49% delle azioni. Questo potrebbe spiegare l’astensione di Pechino, al Consiglio di Sicurezza dell’Onu, sulla criptica Risoluzione 1793, considerata dall’autorevole International Crisis Group una mezza sciagura, buona solo a gettare benzina sul fuoco. Tanto per farci un’idea della sbobba che bolliva nel pentolone, proprio la Francia, che evidentemente sperava di farsi i cavoli suoi, si è opposta fino all’ultimo a un pronunciamento dell’Alleanza atlantica, tranne poi patrocinare un “cappello” diplomatico raffazzonato. E mentre l’Inghilterra dimostrava di non aver capito il resto di niente, la Germania (come capita adesso) si è tirata le carte al petto, non muovendo un passo. Tanto, chi sta fermo non rischia di cadere. Pure Obama, probabilmente avvertito dai suoi “servizi”, proprio non ne voleva sapere di mettersi sul groppone la magagna libica. Sennonché, scavalcato per l’ennesima volta da Madame Clinton, sempre pronta a contraddirlo, Superbarack abbozzò (proprio come l’Italietta), dopo una tempestosa riunione svoltasi alla Casa Bianca, in cui pare che siano volati piatti in faccia tra “interventisti” e fautori della negletta politica della prudenza. In una splendida riflessione apparsa sull’autorevole rivista Usa “The New Republic”, forse il più prestigioso dei politologi americani, Michael Walzer, sparò poi a zero (è il caso di dirlo) contro l’intervento americano in Libia che, a suo dire, non aveva né capo né coda. Walzer elencò, dopo averli soppesati col bilancino, tutti i “pro” (quasi niente) e tutti i “contro” di una spedizione militare in cui l’America aveva molto da perdere. Con lungimiranza (ma, per onestà, non bisognava andare all’Università di Princeton per accorgersene) giudicò la Risoluzione Onu ambigua e volutamente fuorviante. E, infatti, a leggere la “1973” viene il dolore di testa: le regole d’ingaggio erano così indeterminate che, ognuno, le tirò dal suo lato, come la pasta per la pizza. Molti, poi, si domandarono (profeticamente) come ci si sarebbe comportati in Siria, in Egitto e nello Yemen. E che sarebbe accaduto se la rivoluzione avesse toccato gli amici di famiglia sauditi? E l’Algeria? Che ha uno “score” di 250 mila vittime nella guerra civile, scatenatasi dopo che i fondamentalisti del FIS avevano vinto democraticamente le elezioni? Evidentemente, tutti quegli ammazzati erano di serie B, per “Sarkò”, novello Napoleone “de noantri” e per gli altri capoccia dell’Occidente. C’è chi corre, coltello fra i denti, spingendo per interventi “umanitari” una porta sì e una porta no. Mezza America Latina era governata da dittatori che massacravano sistematicamente la loro popolazione. Interventi? Lasciamo perdere. Forse al contrario. E nell’Africa Nera, dove gli stermini tribali sono stati all’ordine del giorno? Niente. E in Asia, nel Tibet, in Corea del Nord? Bocconi troppo grossi per essere masticati. La Libia è un pasticcio colossale e noi italiani, more solito, abbiamo avuto l’abilità d’infilarci, con tutte le scarpe e fino al collo, dentro un tale ginepraio, che sicuramente è tornato comodo ad altri Paesi, pronti a utilizzare il coperchio Onu, ignorando, nello stesso tempo e con cinica strafottenza, tutti i regimi che nel mondo tengono sotto il loro tallone decine di milioni di esseri umani. Quest’operazione puzzava di truffa già cinque anni fa. Figurati oggi. Perché la politica estera è l’arte delle cose possibili, non di quelle che si sognano. E a volte la pezza è peggiore del buco.

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