La storia, spesso, offre paradossi finali che contraddicono tutte le premesse iniziali. E’ come l’effetto “farfalla” che tanto affascina gli studiosi della Teoria del Caos: basta il battito di ali di uno di questi splendidi insetti in Cina, per provocare, grazie a un’amplificazione “logaritmica” degli effetti sui vortici, un uragano, l’anno dopo, nel Kansas. Usciamo dal difficile e trasportiamo il concetto sul terreno, altrettanto accidentato, delle relazioni internazionali. Qui, ciò che sembrava consolidato fino a qualche mese fa, si è sciolto come un ghiacciolo nel microonde. Nel mondo globalizzato della “complessità” dominano l’imprevedibilità e l’impossibilità di gestire o, quantomeno, di indirizzare, i sistemi. Per farla corta, questo significa che due più due a volte fa cinque e che quello che è successo, ripetitivamente fino a ieri, oggi, all’improvviso, può anche non succedere più. Pigliate i rapporti della Turchia col resto del pianeta, a cominciare dagli attori più importanti. Rispetto a poco tempo fa, non solo sono violentemente mutati, ma si sono addirittura capovolti. Intese, alleanze, inimicizie: tutto sembra essere stato passato in una centrifuga che ha fabbricato una specie di indefinibile “plasma” diplomatico. Se oggi Putin vede l’ex Sublime Porta come fumo agli occhi, quasi altrettanto potrebbe dire Obama, sempre più conscio che, con l’Isis e l’estremismo islamico, lo schizoide Paese di Tayyp Erdogan ha moltissimo a che fare e non sempre in modo cristallino. Anzi. Oggi la Turchia è diventata una patata rovente, capace di ustionare il malcapitato che intendesse prenderla in mano. E’ un sistema che, lasciatosi per buona parte alle spalle l’approccio kemalista, guarda verso l’Occidente con diffidenza se non proprio con ostilità. Per non parlare del modo in cui vede la Russia di Putin. Erdogan, a poco a poco, è andato alla deriva, imbarcando sul suo caicco i vecchi sogni imperiali ottomani e facendosi, progressivamente, attrarre più dai paradisi dell’Asia Centrale che da quelli di Bruxelles. Risultato? Adesso ci ritroviamo con uno Stato di 90 milioni d’abitanti, dove la politica si veste d’Arlecchino assumendo sembianze mutevoli e dove la struttura sociale è perennemente in conflitto con se stessa, secondo linee di faglia che sono spaziali (tra regione e regione), temporali (tra generazione e generazione), culturali (tra Occidente e Oriente) e religiose (laici contro integralisti musulmani). A loro volta queste spaccature si riproducono, come le infiorescenze di un cavolfiore (“frattali” per tornare alle figure solide care al “Caos”). Ognuna di queste replica poi, all’infinito, dal generale al particolare, situazioni, prospettive e mentalità difficilmente assimilabili. Insomma, se la Turchia è una delle chiavi che garantiscono la stabilità nel Mediterraneo, allora forse è giunta l’ora di cambiare la serratura. Non in modo cruento, per carità, ma aprendo gli occhi e rendendoci conto che uno dei baluardi della posizione strategica occidentale sta andando alla deriva. Più nello specifico, i fatti che legano la Turchia alla macro-area di crisi che, ormai da decenni, stringe in una morsa tutto il Vicino Oriente, si vanno facendo sempre più evidenti. Tanto che, dicevamo, pure Obama ormai ha capito che il Presidente turco è diventato un soggetto assolutamente inaffidabile, pronto a mettersi di traverso a ogni tentativo che Russia e Stati Uniti abbozzano per ricucire lo stracciatissimo tessuto geo-politico dell’area considerata. Così, non è un caso che le tensioni russo-turche, scatenate dall’abbattimento del Sukhoi-24 di Mosca, lo scorso novembre, in questa fase, si siano trasferite nel Caucaso, toccando la regione del Nagorno-Karabach, una sorta di enclave armena (cristiana) in territorio azero (musulmano). Gli armeni godono dell’assistenza, finanziaria e militare, del Cremlino, che guarda di sguincio tutte le realtà islamiche dell’area, considerate bubboni capaci di “infettare” di fondamentalismo (e terrorismo) la Santa Madre Russia. E siccome, i nostri lettori ormai lo sanno bene, con Vladimir Vladimirovic Putin le chiacchiere stanno a zero, tanto per far capire l’aria che tira, i russi hanno dislocato a Gyumri (Armenia) una discreta quantità di modernissimi carri T-90 e unità aviotrasportate d’élite (VDV airborne troops) che hanno lo scopo di fungere da Riserva mobile del Comando Supremo. Putin ha spedito, in tutta fretta, uno squadrone di caccia MiG29 e alcune batterie di missili a lungo raggio (S300) e a medio raggio (SA-6).E, oltre al carico la briscola, anche in Armenia sono ricomparsi i mortali SS-26, vettori predisposti per il lancio di bombe atomiche tattiche (gli Iskander-M schierati a sorpresa anche in Siria) che tengono sotto scacco mezza Turchia, compresa quasi tutta l’Anatolia. Dell’arsenale fanno parte i “Tornado-G”, lanciarazzi multipli utilizzati per la “saturazione” del campo di battaglia e in grado di fare, in un paio di secondi, terra bruciata in un arco di 4-5 chilometri quadrati. Fonti dei servizi segreti occidentali parlano, poi, del prossimo arrivo a Gyumri, dei temibilissimi S-400, missili antiaerei a lungo raggio praticamente in grado di abbattere tutto quello che vola. Da un punto di vista strategico, lo schieramento sciorinato in Armenia chiude la tenaglia aperta in Siria e, di fatto, crea una “no-fly zone” ai confini turchi. Ankara risponde, pericolosamente, schierando a Est la sua potente Terza Armata, posizionata ad Argadan, Erzurum e Kagysman (48. Brigata, 4. Brigata e ben due Corpi d’Armata, l’ottavo e il nono). La situazione è complicata dal fatto che, oltre ai turchi, anche gli ayatollah iraniani aiutano gli azeri a fronteggiare gli “infedeli” armeni. Che la situazione possa pericolosamente sfuggire di mano in qualsiasi momento (la Turchia fa parte integrante della Nato) è testimoniato dai “report” dei servizi segreti che disegnano scenari di fuoco e che indicano in Erdogan un ostacolo al raggiungimento di un equilibrio politico di lungo periodo nella regione. Il bubbone, purulento, è sempre lo stesso: i curdi. Russi e americani si sono fatti garanti della creazione di una regione autonoma curda nel nord della Siria. Sembra che abbiano anche assunto obblighi militari per difenderla (dai turchi). E qui cascherebbe l’asino, tornando agli scenari da “teoria del caos” da noi tratteggiati prima. L’intesa Usa-Urss anti-turca e in favore dei curdi siriani, va in pratica contro i trattati esistenti. A cominciare da quello Nato. Lo sa pure Erdogan, che però non si fa illusioni. Tornando dalla Nuclear Conference di Washington, secondo spifferi di corridoio il Presidente turco avrebbe detto ai suoi generali “di prepararsi alla guerra”. Se non è matto, poco ci manca.
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