La diplomazia “parallela”, quella che lavora nel chiuso delle Cancellerie o anche grazie agli incontri che si svolgono al bar all’angolo, compie miracoli. Il resto delle sorprese lo regala, a volte, la sciatteria e la totale mancanza di lungimiranza delle politiche estere occidentali che, elaborate in ordine e interessi sparsi, continuano a girare in tondo. Lo sconquasso provocato dalle “Primavere arabe”, dalla Libia alla Siria, non solo dura ancora, ma per certi versi appare amplificato dalle successive mosse, scaturite da intenti riparatori. Insomma, spesso la pezza è peggio del buco. Una delle note caratteristiche di tale fenomeno è il continuo rimescolamento delle alleanze. Col risultato che, ormai, nessuno si fida più di nessuno e tutti si strizzano l’occhio l’un l’altro, rendendo complicatissima l’elaborazione di strategie politiche di lungo periodo. Pigliamo uno dei casi più eclatanti delle ultime settimane: il trasferimento delle Isole Tiran e Snafir dalla sovranità egiziana a quella saudita. Si tratta di un gruppo di isolette, nel Mar Rosso, che controlla l’ingresso al Golfo di Aqaba. Basta solo guardare la cartina geografica per afferrare al volo l’importanza strategica di queste pietraie, assolate e piene di scorpioni: sono una specie di tappo che controlla (e chiude) le rotte che dal Mar Rosso portano ad Aqaba e a Sharm el Sheik. Visti gli interessi in gioco, tutti pensavano a un salto nel buio. Invece l’operazione diplomatica, confezionata col beneplacito di tutti, ha messo d’accordo non solo Egitto e Arabia Saudita, ma anche, udite udite, Israele e Giordania. Così alcuni nemici storici di Gerusalemme hanno finito per coalizzarsi con l’antico avversario. Il Ministro della Difesa israliano, Moshe Ya’alon, ha dichiarato che lo spostamento di sovranità è stato concordato coi Paesi della regione e che Gerusalemme ha dato il suo consenso. Non c’è alcun dubbio che in questa fase i rapporti tra Gerusalemme e gli “arabi moderati” godano di un vento favorevolissimo. Dopo il colpo di Stato di El-Sisi, che ha fatto terra bruciata intorno ai Fratelli Musulmani, le relazioni sono decollate e il resto l’ha fatto la foreign policy di Obama, scegliendo gli ayatollah iraniani quali partner privilegiati. Strategia che ha praticamente gettato nelle braccia d’Israele anche gli imbufaliti sceicchi sauditi. Ora, a Washington fanno buon viso a cattivo gioco, benedicendo un progetto che si sarebbe fatto anche se non ci fosse stato l’assenso americano. Ulteriori spifferi parlano, addirittura, di stabilire un centro comando unificato sull’isoletta di Tiran, che metta assieme gli ufficiali dei tre Paesi sunniti e di Israele, per un controllo militare più accurato della regione. Certo, verrebbe voglia di dire, ne è passata di acqua sotto i ponti dalla Guerra dello Yom Kippur del 1973, quando l’Egitto sferrò un micidiale attacco a sorpresa, quasi mortale, che lasciò il mondo col fiato sospeso. Oggi i bussolotti sono totalmente cambiati e, come nel Gioco dell’oca, la paperella si è decisamente fermata sulla casella che indica un nuovo schieramento trasversale. La decisione di stabilire un Comando unificato d’area sarebbe stata presa l’11 aprile, ad Aqaba, durante l’incontro tra il leader israeliano Netanyahu, il Principe saudita Mohammad bin Salman e il Capo di Stato maggiore giordano, luogotenente generale Mashal al-Zaben. Salman ha in pratica rappresentato anche gli egiziani, interpretando il messaggio lanciato da El-Sisi per uno sforzo comune, dopo che quest’ultimo si era incontrato con il re dell’Arabia Saudita, Salman-padre. Un risultato incredibile, quello raggiunto dai quattro protagonisti dell’intesa, se solo si pensa alle posizioni di partenza, un paio d’anni fa. Gli israeliani sono in una fase di completa euforia diplomatica, perché per la prima volta dopo settant’anni sembrano aver superato quella sorta di “sindrome dell’accerchiamento” di cui soffrivano. Il loro vice Capo di Stato maggiore (maggior generale Yair Golan) ha detto che grazie alla cooperazione siglata col Patto di Tiran, sarà possibile controllare una vastissima area di enorme potenziale strategico: tutto il Mar Rosso dall’ingresso di Bab-el Mandab nel Golfo di Aden, fino al Canale di Suez e al Mediterraneo. La “War-room” sovrintenderà ai movimenti di flotte e aviazioni militari, contribuendo decisivamente a rendere la navigazione verso Suez più sicura. Gli Stati Uniti, pur non facendo parte integrante del Comando Tiran, avranno un ruolo importante di interfaccia attraverso l’Us Central Command (Centcom), e i Comandi della Sesta flotta (nel Mediterraneo) e della Quinta flotta (Golfo Persico). Anche i francesi verranno integrati, collegandosi col loro centro di coordinamento a Tabuk, nel nord dell’Arabia Saudita. I servizi segreti israeliani hanno rivelato che i francesi “per collaborare” hanno preteso che fosse firmato il gigantesco contratto di vendita d’armi con l’Egitto annunciato nei giorni scorsi. Il presidente francese, il socialista François Hollande, infatti, messi da parte i sacri principi progressisti della pace nel mondo, si è messo dietro il registratore di cassa, anticipando che la Francia venderà agli egiziani due nuove portaelicotteri classe Mistral, in grado di imbarcare 16 velivoli Ka-52 Alligator da attacco e numerosi Ka-27 e Ka-29 Kamov per la lotta anti-sommergibile. Una vera rivoluzione copernicana. Le navi, a detta degli analisti, dovrebbero ridurre i compiti finora assolti dalle portaerei degli Stati Uniti fra Mediterraneo e Golfo Persico. Dove rimane (per questioni di bilancio) stanziata, alternativamente, una sola nave di questo tipo. Un gran successo, in particolare, per i machiavellici cugini francesi. Che dopo avere studiato mille sconclusionatissimi piani per rimettere piede in Medio Oriente, dall’attacco alla Libia a tutti i macelli combinati con le “primavere arabe”, vedono infine premiate le loro trame diplomatiche, sostenute con lo strabismo proprio di chi guarda il portafogli. Per ora hanno ottenuto le commesse tanto agognate. L’alleanza, per chi è capace di vede oltre il registratore di cassa, ha comunque un valore strategico di sguincio. E’ un cartello di stop messo in bella evidenza per gli ayatollah iraniani che, dopo l’intesa raggiunta con Obama, ormai loro compare d’anello, pensavano di poter diventare la vera potenza regionale emergente. E gli americani? A leccarsi le ferite. Dovevano “esportare” la democrazia e hanno importato solo rogne, correndo appresso a quel venditore di tappeti di Sarkozy, ossessionato dal business a tutti i costi. Oltre al danno la beffa, ora i francesi li stanno pure sostituendo come mercanti d’armi. Insomma, un disastro.
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