Dunque, forse ci hanno messi in mezzo anche questa volta. Forse. Speravamo che la prima durissima lezione ricevuta ecumenicamente in Libia da tutti i Capitan Fracassa occidentali fosse stata più che sufficiente a capire che tipo di rogne circolano da quelle parti. E invece no. La foia di “mostrare la bandiera”, di intervenire forse perché altri te lo impongono o, last but not least, di accostarsi al tavolo della mensa per raccogliere le briciole, evidentemente pare più forte di tutti i proclami di “prudenza”. Mercoledì scorso si sarebbe avuto, il condizionale è d’obbligo, un primo avvelenato assaggio di quella che ci aspetta nell’ex Cassone di sabbia di giolittiana memoria. Parliamo con cautela, perché la vicenda fa acqua, ma potrebbe avere un nucleo di verità. Miliziani dell’Isis avrebbero sorpreso un’unità mista di truppe speciali anglo-italiane attaccandola. La notizia, data dagli israeliani, parla di un vero e proprio agguato in cui sarebbero caduti inglesi e italiani in quella che, secondo fonti di intelligence, è la prima battaglia di questo tipo nella regione. La mezza scoppola avrebbe avuto, come risultato, e visti i chiari di luna, quello di indurre gli alti comandi, britannico e italiano, a decidere il rinvio dell’intervento occidentale in Libia. I dettagli dello scontro sono stati rivelati da fonti ritenute vicine ai Servizi segreti israeliani. Un convoglio di marines italiani (incursori?), forze speciali inglesi e truppe governative libiche, che viaggiava dalla città di Misurata verso Sirte (roccaforte degli estremisti islamici), sarebbe stato intercettato e assaltato dall’Isis. Ci sarebbero morti e feriti, ma il condizionale, lo ribadiamo, nel caso di tutta la vicenda, è assolutamente d’obbligo, perché qualcuno teme “depistaggi diplomatici”, se non veri e propri sacchi parati all’impiedi per i fini più disparati. In ogni caso, il fatto che la notizia circoli comunque, dà conto di quale guazzabuglio sia ormai diventata la Libia contemporanea. L’Isis avrebbe fatto alcuni prigionieri, anche se si pensa che si potrebbe trattare di soldati del Libyan National Army, esercito pro-americano comandato dal generale Khalifa Haftar. Il comando alleato unificato (Italia, Regno Unito, Stati Uniti, Germania e Francia), dal canto suo, avrebbe imposto ai mass media una sorta di embargo. Le forze speciali occidentali stanno preparando il terreno a una vera e propria invasione della Libia, che si sarebbe resa necessaria per il progressivo deterioramento della situazione politica e sociale. Dopo il colpo di Stato anti-Gheddafi, programmato a tavolino dai Servizi segreti francesi e a cui si sono aggiunti, più o meno di malavoglia, gli americani e (stranamente) gli inglesi, il Paese, in effetti, è imploso, cadendo in un clima di “tutti contro tutti”. Ormai si spara a ogni piè sospinto anche alle ombre, e la vita in molte città libiche è praticamente una lotteria. Insomma (ma questo lo sanno ormai tutti), l’epoca di Gheddafi, al confronto, era oro. Da qui l’esigenza di correre a salvare il salvabile. Facendo partire un po’ tutti, a cominciare dai soliti fessi. Qualche giorno fa, in una riunione “ultrasegreta” tenutasi in Germania (ad Hannover, per l’esattezza) si è deciso di accelerare lo sbarco in Libia. E così si sarebbe arrivati all’attacco dell’Isis, che avrebbe musato il sistema dei camion-bomba. Autisti-kamikaze si sarebbero fatti esplodere non appena giunti all’altezza dei veicoli anglo-italiani. In quel momento sarebbe entrato in azione tutto il resto dei jihadisti, che avrebbero bersagliato gli alleati con razzi, mortai e raffiche di armi pesanti. L’unica reazione degli occidentali (così dicono gli israeliani) sarebbe stata quella di girare i tacchi e di scappare, mentre entravano in azione caccia italo-francesi ed elicotteri da combattimento. E siccome i Servizi segreti di Gerusalemme la sanno lunga, assieme alla notizia dell’attacco fra Sirte e Misurata, hanno anche diffuso altri spifferi. Come quello che gli italiani (che conoscono la Libia meglio di chiunque altro) un po’ se l’aspettavano. Tanto è vero che le nostre forze speciali avevano appena finito di condurre, a Cervia, 19 giorni di esercitazioni su vasta scala, simulando attacchi dell’Isis a installazioni italiane in territorio libico. Gli specialisti sottolineano che l’approccio utilizzato dai miliziani dell’Isis è lo stesso di quello messo in pratica nel Sinai, contro le forze dell’Esercito egiziano. In pratica, viene confezionato un micidiale cocktail di veicoli-bomba, kamikaze, esplosivi a innesco e artiglieria pesante. Bisogna anche sottolineare che, un giorno dopo la battaglia, a bocce ferme, il Ministro degli Esteri italiano, Paolo Gentiloni, ha ribadito che l’Italia “non ha intenzione di inviare truppe in Libia, se non su esplicita richiesta del Governo di unità nazionale libica, sostenuto dall’Onu. La precisazione viene dopo che qualche organo di stampa ha parlato di 600-900 soldati italiani da inviare in Libia per proteggere campi petroliferi e installazioni energetiche. Anche qui altre informazioni giungono ad aggravare un quadro interventistico che, se fosse vero, sarebbe di una gravità inaudita, perché impegnerebbe un numero imponente di soldati (almeno 6 mila) a tal punto da far parlare, più correttamente, di vera e propria “guerra non dichiarata”. Il mini-esercito italiano sarebbe sostenuto da almeno mille uomini delle Forze speciali di Sua Maestà britannica. Come si vede, la confusione regna sovrana in Libia, e i politici sono impegnatissimi a smentire di giorno quello che si sono impegnati a fare di notte. Un esempio probante è stato offerto dal Segretario usa alla Difesa, Ashton Carter e dal capo di Stato maggiore americano, il generale Joseph Dunford. I due, parlando davanti allo speciale Armed Service Committee del Senato Usa, hanno illustrato i (presunti) progressi in Siria e in Irak, ma si sono guardati bene dallo spendere qualche parola sulla Libia. Invece, Jonathan Spyer, direttore del Rubin Center for Research in International Affairs e fellow al Middle East Forum, spiega perché l’Isis si sita espandendo a macchia d’olio proprio in Libia: controlla un’area di circa 200 chilometri attorno a Sirte, la città natale di Gheddafi. Sfrutta le “facilities” esistenti e tutta la rete di trasporti e, soprattutto, controlla i “rubinetti” dell’esodo verso l’Europa, che prima controllava il Colonnello. Alcuni dei migranti, sostiene sempre Spyer, vengono convinti a rimanere e a combattere per il “Califfo”. Altri passano, ma non sappiamo su che basi o se ci siano dei patti segreti “di mutuo soccorso”. I combattenti dell’Isis presenti a Sirte e nella sua regione sarebbero circa 5 mila, ma vengono dati in forte crescita. Non sappiamo quanto c’entri la Libia, ma l’ultima notizia (fonti del Ministero della Difesa italiano) parla dell’arresto di quattro sospetti terroristi in procinto di commettere attentati nel nostro Paese.
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