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Re Riccardo e la favola del Leicester

Re Riccardo e la favola del Leicester

Fu a pochi passi da Leicester, a Bosworth, nelle Midlands, che si concluse l’avventura terrena di Riccardo III Plantageneto, potente re d’Inghilterra. Era il 1485. Nell’ultima battaglia, in difesa del suo regno, venne tradito e massacrato. Shakespeare gli dedica una delle sue opere più famose, dipingendolo in modo controverso. Ma, si sa, spesso la Storia è ingrata, perché ispirata dai vincitori. Così il nome di Riccardo III venne condannato a dissolversi nelle nebbie del tempo e il re venne dimenticato, per oltre cinque secoli. Fino a quando le sue ossa non furono trovate, sparse e dirute, sotto un anonimo parcheggio, presso un’antica chiesa. Gli abitanti di Leicester non vollero saperne di cedere le regali spoglie perché fossero tumulate nell’Abbazia di Westminster. Non si piegarono. Riccardo III era il “loro” re: loro l’avevano cercato e trovato, e loro lo avrebbero sepolto. Vinsero. Le solenni esequie furono officiate a Leicester, alla presenza della più alta nobiltà britannica. Da allora qualcosa è cambiato. La città è sembrata trasformarsi, dopo aver respirato e quasi assorbito il carisma del sovrano perduto. I lamenti strazianti e i singhiozzi che venivano dalla brughiera, nella notte, sono cessati. Il re ha finalmente trovato la sua pace e la sua Patria, che lo ama e rispetta. E Leicester, improvvisamente, anche nel football, è riuscita a trovare una sua dimensione regale. Una squadretta di provincia ha vinto miracolosamente il campionato più prestigioso del mondo, ha riconquistato il Regno d’Inghilterra, che il suo re aveva perso. Il calcio sa essere “liturgia” della vita: fatta di amare sconfitte ed epiche vittorie, radiosi sorrisi e lacrime irrefrenabili. A Leicester un manipolo di giocatori sconosciuti, guidati da Claudio Ranieri, ha ridato alla città l’orgoglio perduto e il senso dell’appartenenza. E la gente ha fatto erigere la statua di Riccardo III, con la spada sguainata e la corona in mano, mentre va all’assalto, guardando in faccia la morte. Nobile metafora. Perché, vedete, anche le “Volpi blu”, i calciatori del Leicester, come recita il loro motto, “never quit”, non scappano mai. Combattono sempre, come re Riccardo. E a chi pensa che questa sia solo una fiaba, vogliamo ricordare Shakespeare nel suo Amleto: ci sono più cose in cielo e in terra di quanto ne possa mai sognare la nostra filosofia. Onore a Leicester e al suo sovrano.

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