Ormai, dietro le quinte, gli esperti antiterrorismo sono pressoché certi e discutono solo del tipo di bomba che ha fatto esplodere, giovedì scorso, l’Airbus A-320 in volo tra Parigi e Il Cairo. Non esistono ancora certezze assolute, ma tutti gli indizi portano in un’unica direzione. Ieri le autorità greche ed egiziane hanno confermato il ritrovamento di parti dell’aereo e di resti umani nel Mar Mediterraneo, a circa 180 chilometri a nord di Alessandria d’Egitto. Voci non confermate parlano di qualche prima rivendicazione “di sguincio”. Un gruppo di fondamentalisti islamici affiliato all’Isis, si sarebbe già vantato, via Twitter, del sanguinoso attentato in cui sono rimaste uccise 66 persone. Anche se ancora non è chiaro chi ci sia dietro l’esplosione: “Wilayat Sinai” o “Ansar Beit al-Maqdis”? Intanto, piano piano, si ricompongono i tasselli del puzzle che sta dietro la tragica fine del volo MS804. Il resto potranno dirlo solo le “scatole nere” se e quando verranno recuperate. Per ora la BBC parla di “un incendio improvvisamente scoppiato in cabina o subito al di sotto”. Il governo egiziano accenna ufficiosamente a “forti indizi su un possibile attentato”, mentre i Servizi di siurezza di Mosca, l’ex KGB, non hanno dubbi: è stato quasi sicuramente un atto di terrorismo. Il Ministro della Difesa greco, Panos Kammenos, ha detto che l’aereo ha fatto un paio di virate improvvise prima di scomparire dai radar. Cosa che potrebbe anche far pensare a una visita, sgradita quanto inaspettata, in cabina di pilotaggio. Gli abitanti di alcune isole greche, nello stesso arco di tempo, hanno visto chiaramente una palla di fuoco precipitare dal cielo. Adesso gli specialisti dovranno pazientemente ricostruire l’accaduto, anche per evitare che qualche altra dolorosa sorpresa possa verificarsi presto nei cieli d’Europa. L’Airbus aveva fatto scalo in Eritrea e a Tunisi, prima di arrivare a Parigi. Aeroporti ad alto rischio di infiltrazione terroristica. Le prime ipotesi parlano di uno “Ied” (“Improvised explosive device”), un ordigno rudimentale, magari assemblato a bordo da un attentatore-suicida, con “ingredienti” che è possibile imbarcare separatamente. Una bomba di questo tipo, di potenza limitata, può diventare devastante quando l’aereo vola a grande altezza, perché può portare a una rapidissima depressurizzazione della carlinga e a un conseguente collasso generale della struttura del velivolo. D’altro canto, i due piloti ai comandi erano espertissimi e l’aereo (non proprio vecchio, era del 2003) non trasportava materiali pericolosi. Tra le altre cose, gli specialisti egiziani confermano che nessuna richiesta di aiuto o segnalazione di anomalie è arrivata nei minuti che hanno preceduto la scomparsa del velivolo dai radar. Cosa che potrebbe far pensare a qualcosa di diverso, come una “bomba a tempo”. Anche se resta il mistero delle virate che l’Airbus avrebbe compiuto, inspiegabilmente, nell’ultima parte della sua rotta. Certo, l’episodio rischia di avere pesantissime conseguenze sulla sicurezza del trasporto aereo in generale e sull’affidabilità delle rotte che portano in Egitto. In questo senso, l’industria turistica del Cairo, potrebbe uscirne con le ossa rotta. Intanto, dicono i “superesperti” israeliani, bisognerà stabilire dove è stata imbarcata l’eventuale bomba. A Parigi recitano le giaculatorie sperando che, dalle indagini, salti fuori qualche altro aeroporto. Perché se si dovesse parlare del parigino “Charles De Gaulle” la faccenda prenderebbe una bruttissima piega e a essere messo sul banco degli imputati sarebbe tutto il sistema di sicurezza e di protezione antiterrorismo messo in piedi dai francesi. Che, è bene dirlo, visto quello che è successo nell’ultimo anno, fa acqua da tutte le parti. Non solo. L’Isis aveva già colpito un aereo, quello russo abbattuto sei mesi fa sopra il Sinai. Anche allora le prove in mano condussero a varie ipotesi, prima di imbroccare quella giusta: una bomba rudimentale imbarcata (sembra) in una lattina di aranciata. L’Airbus 321 della Metrojet russa, precipitato durante il volo da Sharm-el-Sheik a San Pietroburgo, esplose uccidendo tutte le 227 persone a bordo. In un primo momento, da alcuni servizi segreti erano state suonate a perdifiato le sirene d’allarme: l’aereo poteva essere stato a abbattuto da un missile terra-aria. No, non quelli portatili, gli “Stinger”, a spalla, generosamente distribuiti urbi et orbi dagli Usa ai primi miliziani che si fermavano al semaforo. Ma da una batteria di Sam a lungo raggio di cui l’Isis si era impossessata sottraendola ai governativi di Assad. Il primo ragionamento fu quello fatto sulla traccia radar: l’aereo, a circa 30 mila piedi d’altezza, tentò improvvisamente un fulmineo rialzo di quota, che lo mandò in stallo e lo fece precipitare. Errore del pilota o disperato tentativo di evitare un ostacolo improvviso in arrivo dal basso? O altro, come nel caso dell’attuale Airbus francese? E qui entrano in gioco varie ipotesi. La manovra abbozzata dai piloti russi allora assomigliò molto a quella “di fuga” tentata dai “top gun”, quando vogliono sfuggire a un missile a guida termica o, addirittura, a guida radar. Pare che spifferi di questo tipo circolassero anche nei corridoi del Cremlino: il pilota del volo russo avrebbe tirato all’insù il naso dell’aereo, perdendo immediatamente portanza e facendo finire l’Airbus in stallo, incapace di sostenersi in aria. Proprio come accaduto (a detta del Ministro della Difesa greco) nel caso del velivolo francese. (manovre strane). Tuttavia, anche in questo secondo caso, la spiegazione potrebbe essere quella di un botto che avrebbe aperto un foro nella carlinga e di una progressiva depressurizzazione, non immediata, che avrebbe condotto al collasso e all’esplosione del velivolo. Certo, quando esplode una bomba a bordo, un aereo si disintegra quasi immediatamente (per la decompressione) e i suoi resti vengono sparsi lungo chilometri e chilometri. Nel caso dell’Airbus russo ciò non si verificò. Si spaccò in due e si incendiò, come avviene ai velivoli abbattuti da un missile terra-aria. La possibile spiegazione? L’utilizzo di bombe rudimentali, “fai da te”, di scarsissima potenza, ma sufficienti ad aprire uno squarcio nell’aereo e a farlo precipitare per decompressione. C’era da aspettarselo. Quella del terrorismo che prende di mira un aereo era la complicazione che temevamo di più, dopo che un manipolo di idioti occidentali (per motivi non certo nobili) e quattro intellettuali del piffero hanno fatto di tutto per soffiare sul fuoco delle rivolte in Nord Africa e nel Medio Oriente. A chi li dobbiamo mettere in conto i 66 poveri morti dell’Airbus francese, che si aggiungono ai 224 dell’aereo russo sfracellatosi nelle pietraie del Sinai? A quelli che hanno messo in moto questo macello. Per biechi interessi nazionali, per “moda culturale” o, molto più semplicemente, per mera cretinaggine e vanagloria. C’è da avere paura, specie ora che la capacità di colpire dei fondamentalisti islamici, che erano scomparsi dal Nord Africa e sono stati resuscitati da Sarkozy, Cameron e Obama, arriva a minacciare l’Europa