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Trump, anche Obama s’impappina

Trump, anche Obama s’impappina

Mai visto Barack Obama tanto in difficoltà durante un discorso. Parlando in Indiana, e dovendo (forse) aiutare Hillary Clinton nella sua corsa alla Presidenza, ha avuto un inghippo fonico di quelli che scoppiano all’improvviso, quando forse stai per dire cose che proprio non vorresti dire. Il povero quasi-ex inquilino della Casa Bianca, per la verità, non stava citando la moglie di CiccioBilly, che notoriamente ama come il dolore di denti. No, stava solo cercando di dirne quattro al suo avversario repubblicano, Donald (come Paperino, anzi, meglio, Paperone) Trump. Un tipo dai modi spicci (stile buttafuori moldavo), piovuto come l’asteroide che sterminò i dinosauri sulla scena politica Usa e che sta turbando i sonni di mezzo pianeta, oltre che quelli di mezza America. Sì, perché Donald “denoantri” per dirla in quattro parole è “stra-tutto”: straricco, strabico (quando si riferisce ai suoi improbabili elettori di colore, le sue parole in California hanno causato una bufera), strafottente (quando adombra strategie risicate in politica estera), straripante (se chiede l’arresto di Hillary o insulta il primo giudice che gli capita a tiro), stralunato (saltabecca da un discorso all’altro con disinvoltura), strapaesano (per come si veste, un incrocio tra un “broccolino” doc e un gangster della Chicago Anni Trenta), stravaccato (per la noblesse dimostrata durante le interviste, dove sembra Nerone sul triclinio), stracotto (specie dopo pranzo), strascinato (quando ripete le stesse 24 cose in 24 secondi) e strascicato, se vuole dimostrare un’agilità degna d’altri Circhi Barnum, perché sul palco dondola come un lottatore di Sumo che voglia imitare Nureiev.

Basta? E ne avanza, direbbe qualche “esperto” alla fermata degli autobus. E invece no, perché, per quanto possa sembrare allucinante, c’è quasi mezza America che segue l’energumeno. E qua arriva la risposta a qualcuno che pensava avessimo trattato maluccio Lady Clinton, nel nostro precedente articolo. Ma scherziamo? La politica è l’arte delle cose possibili e, per quanto anche Obama non sia proprio il primo tifoso di Hillary, se Mrs. “Lacrimuccia facile” viene messa a confronto col repubblicano arrivato dai meandri più profondi del sistema limbico allora non c’è partita. La moglie di “CiccioBilly” fa la figura della Regina Vittoria, della zarina di Tutte le Russie, di Margareth Thatcher, di Frau Merkel e di Evita Peron messe assieme.

La pena è andarsi a sciroppare i sondaggi (spulciare il sito di RealClearPolitics, prego) per accorgersi che la “sorpresa” potrebbe essere dietro l’angolo. Che sorpresa? Quella di trovarsi l’energumeno, sponsorizzato oltre che dal Presidente della Corea del Nord, Kim Jong-un (a proposito, vanno dallo stesso barbiere?), anche da un’altra serie di leader, tutti regolarmente usciti di testa, pronti ad abbracciare il verbo del “giriamo il mondo sottosopra”, vaticinato da Trump.

Dopo uno degli ultimi discorsi dell’energumeno, a Pyongyang non credevano alle loro orecchie: Trump offriva ai bombaroli (atomici) nordcoreani un ramoscello d’ulivo. Loro lo hanno definito immediatamente “saggio” e cooperativo, non prima, però, di aver sentito che, in fondo, è meglio che tutti si armino fino ai denti. Come l’Arabia Saudita. E poi finisca come finisca. Un ramoscello d’ulivo, insomma, dietro cui si cela un nodoso bastone, tutto groppi, con l’energumeno pronto ad agitarlo. Altro che le e-mail spedite dalla Clinton. Questo rischia di fare scoppiare la Terza guerra mondiale. Gli basta aprire la bocca per sbadigliare.

Sì, lo sappiamo, nella dottrina del Grand Old Party ci sono molte cose buone. A cominciare dal principio di limitare il deficit dello Stato, costruire un fisco dal volto umano e rendere più efficiente l’apparato burocratico federale, che qualche volta assomiglia più a un Municipio dell’Irpinia che al sistema amministrativo della prima potenza democratica del mondo. Ma tutto questo, permettetecelo, passa in secondo piano, quando rischiamo di vedere trasformato lo Studio Ovale in uno Studio Quadrato, stile bunker di Berlino sotto la Reichkenzlei, per capirci.

E allora, torniamo all’inizio. La sindrome politraumatica scatenata dall’impresentabile Donald deve avere contagiato anche Obama, che, nel tentativo di dirgliene quattro, si è ingoiato le parole con tutta la lingua. Il povero Presidente balbettava come De Vico nei film di Totò, mentre in faccia (vedere il video “virale”, prego) si faceva di mille colori, dal bianco-policlinico al verde-bile, fino al grigio-verde militare, per finire con un rosso talmente paonazzo da fare invidia a un polpo degli abissi.

Mala tempora currunt. Tutto sommato Jeb Bush, Rubio, Cruz e compagnia bella non erano proprio malaccio se messi a confronto col ciclone Trump. Se non altro avevano consapevolezza di ciò che si proponevano di fare. Questo no. Dietro qualche parola flautata (che gli hanno disperatamente suggerito di pronunciare) promette di andare alla Casa Bianca a rivoluzionarci le giornate. Già tanto tribolate di loro.

Una rivista notoriamente austera come Foreign Policy, non certo sospettabile di essere “sinistrorsa”, ha già lanciato l’Sos con un titolo che è tutto un programma: “Come salvare l’America da Donald Trump”. E sotto, nel sommario, a spiegare meglio lo stato dell’arte, definisce il candidato repubblicano con un giudizio tranchant «misogino, razzista e politicamente analfabeta». David Rothkopf, l’analista di Foreign Policy, suona le trombe di Gerico nella speranza che crolli qualche muro. Nei sondaggi.

Il populismo da “taberna” dell’energumeno, dice il giornalista, è il peggiore dai tempi di George Wallace, il governatore dell’Alabama che sembrava uscire, dritto filato, da una cellula del Ku Klux Klan. Gli incappucciati razzisti per cui gli unici neri buoni sono quelli da mandare al rogo.

A proposito, for the record e tanto per far capire come la politica americana non sia manco lontanamente assimilabile a quella nostrana: Wallace era una colonna del Partito Democratico. Punto. Ma Foreign Policy non va tanto per il sottile nel denunciare i pericoli del “Trumpismo”. E accusa i media americani di farsi influenzare dai sondaggi, evitando di scrivere sgradevoli ma assolutamente veritieri resoconti sul candidato che non ti aspetti, comparso come un alieno in una democrazia matura e scafata del Terzo millennio. Il guaio, dice Rothkopf, è che anche una certa opinione pubblica va, come ad Hamelin, dietro al pifferaio magico, rischiando di trovarsi, pesta e sanguinante, da un giorno all’altro, in un dirupone.

E tanto per chiarire le idee a tutti, urbi et orbi, sul pericolo di “Paperone” Trump, Foreign Policy parla di lui come di un «buffone» capace di mettere al centro del suo programma solo odio e di dimostrare una palese ignoranza degli argomenti trattati. Un neoisolazionista, che disprezza i messicani e gli ispanici (vi risparmiamo i neri e le altre minoranze), che vorrebbe “dialogare” con l’Islam a cannonate e che vede gli alleati solo come fedeli segugi, da sguinzagliare alla prima partita di caccia. Esperienza politica e amministrativa: zero (tagliato). Insomma, sembra di capire che l’unica salvezza, per l’America e per il mondo, sia quella che l’appeal del bullo di quartiere, “coatto” e inselvatichito dai dollari, crolli e che il nostro la Casa Bianca la veda solo in cartolina.

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