Lunedì 23 Dicembre 2024

Simon e gli altri,
bentornati anni 80

I Duran Duran "infiammano" Taormina

Uno spettacolo autentico, in un luogo magico, unico al mondo. È stato un vero evento il concerto dei Duran Duran, che domenica scorsa al teatro Antico di Taormina hanno aperto in prima nazionale il “Paper Gods Tour”, tratto dall’ultimo album registrato in studio dalla storica band inglese. Ad abbracciare Simon Le Bon (voce), John Taylor (basso), Nick Rhodes (tastiere), e Roger Taylor (batteria) c’erano 4500 fan giunti nella Perla dello Jonio da tutto il Sud Italia per farsi emozionare, così come la band ha saputo fare negli ultimi trent’anni, attraversando mode e sound e ricomponendosi, anche nella formazione, come in un caleidoscopio, ogni volta diversa eppure uguale.

E a quasi trent’anni dal primo e unico concerto in Sicilia (con 30.000 in delirio alla Favorita di Palermo, era il 1987), hanno ritrovato il medesimo entusiasmo, seppur velato da certa nostalgia, e l’identica incandescente accoglienza dei fan pronti a perdonare tutto, anche qualche incertezza nella voce dell’amato Simon, per un successo indiscusso affidato ad un tris d’assi: innanzitutto un genius loci così pregnante, e ampiamente messo in conto, da rendere superflua ogni coreografia se non quella regalata dai suggestivi giochi di luce tra le millenarie pietre del monumento (il cui palco era tra l’altro interamente occupato dal massiccio spiegamento di strumentazioni e dalle postazioni dei quattro, insieme con Dom Brown alla chitarra elettrica, Simon Willescroft al sax e due coriste); in secondo luogo, le personali, potenti suggestioni di un pubblico dal target quaranta-cinquantenne con famiglia (a casa o al seguito, su passeggino) desideroso di rivivere brividi adolescenziali in realtà mai sopiti, anzi tenuti ben vegeti negli anni sull’onda delle evoluzioni musicali – e anagrafiche... – della band; e, infine, anzi in principio, la musica, un core rythm sempre riconoscibile, che dagli esordi new romantic degli anni 80 ha traghettato i Durans nelle sonorità del terzo millennio.

Un ragazzo dagli occhi blu

Ed eccola, la musica, sovrana assoluta cui tanto tempo fa giurarono fedeltà Simon, ragazzo di 58 anni dai magnetici occhi blu, i compagni di classe John, 56 anni e immutato charme, e Nick, che domani compirà 54 anni, vera anima del gruppo, cui diede vita nel 1978 senza mai separarsi né da esso né da un certo look dandy (oggi più “sobriamente” affidato ad un caschetto di platino e ad una collar pin con strass a pioggia su total black), e Roger, 56, anch’egli storico componente, allontanatosi e poi definitivamente rientrato nel 2006.

Ad aprire le due ore di show – dopo l’esibizione delle acerbe ma promettenti gemelle ucraine “Bloom Twins” prodotte da Rhodes e scelte come supporters – è stata alle 21,45 in punto la title track del nuovo album “Paper Gods” – coprodotto dallo Chic Nile Rodgers con la partecipazione di ospiti quali John Frusciante, ex RHCP, o Lindsay Loahn – con quell’incipit quasi gospel denso forse dell’angoscia di un idolo di carta terrorizzato all’idea d’incenerirsi. Ma non è il caso dei Duran Duran, che lungi dal “falling down” invece come l’araba fenice “rinascono” – quasi – ad ogni album. Quindi, la mitica “The Wild Boys” (Arena, 1984) la divertente evergreen “Hungry like the Wolf” (Rio, 1982) e la raffinata “A View to A Kill” che nel 1985 fece schizzare per la prima volta la colonna sonora di un film di 007 (“Bersaglio mobile”) in cima alle classifiche grazie anche alla clip da brivido. E se qui Roger ha potuto dare il meglio di sé nel ritmo incalzante, è stato poi il basso di John a scandire “Come Undone” (Duran Duran, 1983) prima della scatenata dance di “Last Night in The City”, probabilmente la prossima hit dall’ultimo album, placatasi quindi nella dolce “What Are The Chances” (sempre da Paper Gods). Da un must del passato, “Notorious” (title track dell’album del 1986, bandiera r-esistenziale del gruppo allora ridotto a tre soli elementi: Simon, John e Nick) ad una super hit di oggi, “Pressure Off” (Paper Gods, 2015), globalmente rilanciata da Tim nei suoi spot, per atterrare poi su “Planeth Earth” (Duran Duran, 1981), quella stessa Terra vagheggiata dal Major Tom di “Space Oddity”, nelle cui dolenti note Simon si è inerpicato per un commosso omaggio al grande amico David Bowie (anche se probabilmente la cover di un altro mito del Duca Bianco, “Starman”, è in passato risultata più nelle corde del frontman dei Duran). Un’altra ondata di ricordi con “Ordinary World” (Duran Duran, 1993) e “I don’t Want Your Love” (Big Thing, 1988) per essere poi catturati dall’accattivante groove di “White Lines” (Thank You, 1995), che ha dato modo all’intera componente strumentale (chitarra, basso, batteria, tastiere) di raggiungere il top. Quindi via con un’altra hit da spot di questo millennio come “Sunrise” (Astronaut, 2004) in cui – il sole è sorto, la luna pure... – è stato collocato l’insert di un brano storico degli esordi come “New Moon on Monday” (Seven and the Ragged Tiger, 1983) dallo stesso album dell’esplosiva “The Reflex”.

Una struggente ballata

Conclusione affidata quindi a “Girls On Film” (Duran Duran 1981) brano che all’epoca fece scandalo per il video che l’accompagnava (con donne-dominatrici e lotta nel fango, tra tanta ironia e pochi abiti: oggi fa sorridere), prima del “bis”, reclamato e regalato, con la perla da tutti attesa e dedicata da Le Bon a Bowie e a «tutti coloro che con la musica hanno reso il mondo un posto migliore»: una delle ballate più struggenti di tutti i tempi, l’indimenticabile “Save A Prayer” (Rio, 1982) , sottofondo di tutti i primi baci adolescenziali nelle feste in casa anni 80 e oggetto della contesa, solo per seguaci sfegatati, tra questa elegia di piano consenso e il lullaby dark “The Chauffeur”, (Rio, 1982) piccolo miracolo synht anch’esso con hot-clip (vedi box), purtroppo non inserito nella scaletta riservata al pubblico italiano notoriamente “saveaprayeriano”. Gran finale con “Rio” (Rio, 1982) e le sue “billion stars” regalate, domenica sera, ai Duran Duran e a tutti noi dall’incomparabile cielo sopra Taormina.

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