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I Pooh e l’ultima notte insieme

I Pooh e l’ultima notte insieme

Uomini sempre. Soli mai. Non negli ultimi 50 anni, almeno... Cioè da quando uno alla volta sono diventati Pooh; né nei prossimi in cui sicuro si reinventeranno in altre forme da veri “Amici per sempre”.

Intanto, tra quel passato e chissà quale futuro, c’è “L’ultima notte insieme", il tour/reunion (anche se in realtà i Pooh non si sono mai sciolti!) partito da Milano il 10 giugno e che, dopo la tappa romana di stasera, passerà lo Stretto sabato prossimo: sarà il S. Filippo l’ultimo stadio a sentire quella musica e i 31000 spettatori (sono i biglietti sin qui venduti) di Messina il suo grande pubblico.

A parlare con loro si salta dal singolare al plurale senza rendersene conto, forse perché non c’è differenza. Anche il premio PMI «per l’alto contributo alla valorizzazione della cultura musicale italiana nel mondo» che l’associazione Produttori Musicali Indipendenti Italiani ha conferito loro nel corso della conferenza stampa di presentazione era indirizzato «all'artista POOH». Non per caso né per errore, piuttosto perché loro insieme sono indifferentemente tutti e ciascuno.

Sono probabilmente l’unica band italiana (da questo punto di vista la più internazionale) di cui si conoscono i nomi di tutti i componenti. Sono cinque frontman di ruolo senza ruolo.

E sono...

ROBY FACCHINETTI

Pilastro della composizione del gruppo, capace di tradurre assoli strumentali in testi di note che parlano. Come le prime di Parsifal, legate e interrotte o accentate e fluide. È necessariamente contraddittorio il tuo tocco?

«Da autore trovo in me l’espressione massima negli strumentali e nei brani così detti “suite”, un brano come Parsifal… È come se fosse un’esposizione di quadri dello stesso autore, come assemblare 6,7,8 composizioni diverse tra loro che, una volta collegate, fanno un’unica opera. La dinamicità è propria della composizione di questi brani particolari».

Il veto dei tuoi compagni a partecipare a Sanremo da solista con “Vivrò” poteva essere di rottura e invece no. La “famiglia” prima di tutto?

«Non lo è stato perché sapevo che in quel momento poteva creare degli squilibri ed ho evitato. Uno dei segreti della nostra longevità è proprio questo: mantenere un certo equilibrio tra tutti noi ci ha permesso di vivere e lavorare in armonia per 50 anni!»

RICCARDO FOGLI

Bassista, ma soprattutto voce con tanto da dire. Come si rientra in un gruppo se la separazione è stata più lunga dell’unione?

«Mi sono “rockizzato” molto perché questi “ragazzacci” sono molto rock e io ho dovuto impegnarmi parecchio per integrarmi con loro e tenere il passo. Ho studiato tantissimo, giorno e notte per imparare i brani che ancora non sapevo e per mettermi alla pari...».

Era nell’aria e nel '73 lasci la band. Oggi prevarrebbe ancora l’istinto o piuttosto la ragione?

«Nel ’73 eravamo giovani e credo che se le cose sono andate così è perché dovevano andare così. Oggi sicuramente affronteremmo la situazione diversamente, ci metteremmo attorno ad un tavolo e ne parleremmo trovando magari una soluzione alternativa. Ma allora è andata così…».

RED CANZIAN

Ti sei presentato ai provini dei Pooh (che cercavano un sostituto di Fogli) con la chitarra e hai scoperto che il basso ce l’avevi dentro. Coincidenza o destino?

«Non avrei mai pensato di suonare il basso. Da ragazzo vedevo la chitarra elettrica come il mio sogno più desiderato... E invece il basso è uno strumento che ti prende, ti fa innamorare e lentamente ti ritrovi conquistato!!!».

Tu e Riccardo a suonare insieme da Pooh sarà come un ennesimo battesimo artistico. Come possono credervi quando dite che sarà “L'ultima notte insieme” se in qualche modo non smettete di rinascere?

«Io e Riccardo non avevamo ovviamente mai suonato insieme in quanto io ho preso il suo posto. Incontrarci e conoscerci è stata davvero una buona sorpresa. Sarà comunque l’ultima notte insieme questo tour, ma con un amico in più... un grande amico!».

DODI BATTAGLIA

«Premi come “miglior chitarrista europeo” e “miglior chitarrista italiano”. Fender, Maton e Armas che realizzano una chitarra secondo le tue indicazioni. Un solista straordinario che sceglie di vivere dentro ad un gruppo il successo lo divide, lo condivide o lo moltiplica?

«Beh non posso nascondere che dietro riconoscimenti così importanti ci sia una grande soddisfazione da parte mia, anche perché copie dei miei strumenti sono state messe in commercio e sono ora nelle mani di tanti musicisti. Credo di aver raggiunto questi traguardi grazie anche all’appartenenza al mio gruppo e alla fiducia e allo spazio che mi è stato dato e che sono riuscito a conquistare negli anni».

La tua storia coi Pooh comincia a casa di Riccardo Fogli e finirà su un palco, un palco diventato casa...

«In realtà la storia dei Pooh comincia a Bologna perché inizialmente tutti erano di questa città. La mia storia nel gruppo, nonostante sia io stesso di Bologna, invece comincia proprio con una settimana di prove a Piombino, periodo in cui dormivo a casa di Riccardo. Da lì in poi ogni canzone ci riporta a periodi vissuti in altre città, con altre persone e sono tutte uno spaccato della nostra storia. Sul palco ci sarà un riassunto del nostro percorso dal pop italiano al rock, passando per il prog».

STEFANO D’ORAZIO

La delicatezza del falsetto nelle armonizzazioni e l’energia sulla pelle (non solo quella dei tamburi!). Davvero quello che sembra opposto si attrae?

«Assolutamente, noi ne siamo l’esempio. Molto diversi tra noi ma sempre in armonia».

Con “Buona Fortuna” proponi agli altri di cantare tutti, un pezzo o una strofa ciascuno. È questo modello democratico che vi ha tenuti insieme?

«Credo che a tenerci insieme siano state diverse alchimie tra cui il rispetto reciproco ed il fatto che nessuno abbia mai preteso di essere leader. Quella che chiamiamo democrazia in fondo non è stata altro che una grande amicizia che è andata al di là del successo e degli interessi: siamo riusciti a dividerci gloria, sconfitte, fatiche e responsabilità con incredibile disinvoltura, e se oggi siamo qui, di sicuro, al di là del talento che forse ci è caduto addosso per buona sorte dobbiamo molto alle regole che sin dall’inizio ci siamo imposti, regole che nessuno mai ha disatteso. Il viaggio è stato lungo e qualche volta abbiamo incontrato strade in salita, ma se le valigie erano pesanti, e qualcuno faceva fatica a trascinarle, c’era sempre qualcun altro pronto a dare una mano. È andata così».

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