– Adriano, partiamo dalla fine, dalla consegna della coppa del Roland Garros. Un momento che Nole Djokovic ricorderà per sempre, perché era la prima volta che la poteva (finalmente) alzare al cielo.
«Una cerimonia suggestiva e ben organizzata, che mi ha fatto molto piacere vivere, un bel riconoscimento di Parigi che mi ha reso orgoglioso. Negli ultimi anni sono stato spesso ospite del Roland Garros e con tanti campioni della mia generazione ci siamo rivisti tante volte. In questa occasione però è stato diverso ed ho colto in McEnroe, Nastase, Santana la felicità per l’evento che mi vedeva protagonista».
– Cosa ha sussurrato in un orecchio a Djokovic in quell’attimo così unico?
«Gli ho detto che è stata la prima, ma non l’ultima volta sul proscenio del Roland Garros».
– Quarant’anni dai trionfi di Roma, Parigi (proprio domani è l’anniversario) e in Davis. Un concentrato di emozioni.
«Gli Internazionali d’Italia hanno rappresentato la vittoria dei sentimenti. Al Foro Italico sono cresciuto, lì ho iniziato a giocare a 8-9 anni. Il trionfo in una prova dello Slam significava, invece, entrare in una élite di giocatori che verranno ricordati per sempre. La Coppa Davis era il successo di una grande squadra, che comprendeva anche Nicola Pietrangeli e Mario Belardinelli. Una bellissima avventura che consentiva all’Italia di conquistare la prestigiosa insalatiera».
– Annullare undici match-ball a Warwick nel debutto a Roma è stata forse la svolta di quell’indimenticabile 1976. Da quel momento iniziò la strepitosa cavalcata.
«Chissà, forse era il segno del destino. Le cose accadono nel bene e nel male. Come aver annullato un’altra palla della vittoria a Hutka al primo turno del Roland Garros».
– Lei è un estimatore del tennis moderno. Ma è sempre bello fare un tuffo nel passato...
«Il tennis di oggi è ovviamente diverso da quello della mia epoca e di quella successiva. Se è cambiato il mondo, è cambiato anche il tennis. Io non sono un nostalgico, ma l’attrezzo è un’altra cosa e permette di giocare in modo ben differente, ad esempio con rotazioni che ieri erano impossibili. E poi c’è l’aspetto fisico: come dissi una volta, anche l’Empoli adesso va più forte dell’Ajax di Cruijff. Noi giocavamo più piano, ma avevamo un tempo maggiore per pensare e forse in certi aspetti quel tennis era più divertente».
– E fuori dal campo com’era? Guardando un vecchio documentario – The French – girato 35 anni fa al Roland Garros, sembra di essere in un altro mondo.
«C’era più umanità. Basti pensare che la sera ci si metteva d’accordo per uscire tutti insieme a mangiare. Oggi questo è impensabile. Si è persa la spontaneità perché ormai girano tanti soldi e domina il business. Solo Borg aveva un coach, mentre adesso i giocatori hanno dei veri clan che li proteggono e per la gente ammirarli da vicino è diventata un’impresa».
– Djokovic imbattibile ancora per quanto tempo?
«Il suo dominio è destinato a durare a lungo, perché Nole è abbastanza giovane ed ha davanti a sé almeno 4-5 anni di grandi risultati. Fisicamente è super: elastico, copre il campo benissimo, si muove con reattività ed è fortissimo di testa. Inoltre grazie alla sua applicazione in allenamento, migliora continuamente».
– La finale contro Murray non resterà però nella storia...
«Non è stata bella perché hanno un gioco simile, fatto di lunghi scambi e continui recuperi. Nole voleva spezzare questa sorta di maledizione parigina e nel primo set era molto teso, contro un Murray che è un grande giocatore ed era partito bene. Poi quando lo scozzese è calato, Djokovic è cresciuto, ha preso fiducia e il match non ha avuto più storia».
– Una sfida per il titolo che non ha appassionato, a differenza di quella indimenticabile del 2015: oggi solo un Wawrinka in giornata di grazia può battere il numero 1 serbo in uno Slam.
«Assolutamente sì e l’ha già dimostrato più di una volta. Molto dipende dalla condizione fisica dello svizzero che dev’essere al 100%. A Parigi stava meno bene dello scorso anno e ne ha risentito con Murray, ma è comunque arrivato in semifinale che è un ottimo risultato in un torneo lungo, in questo caso condizionato dalla pioggia e nel quale ogni avversario è difficile da battere come hanno dimostrato i primi due turni sofferti di Murray».
– Federer è immortale...
«Ha interpretato il miglior tennis in assoluto tra quelli che ho affrontato e quelli che ho visto da vicino. Ha vinto tantissimo, capisce il gioco come nessuno ed ha fatto cose che sembravano impossibili. Mi ha spesso sorpreso e per questo motivo mi diverte ancora. Al di là se s’impone o perde, è già sufficiente vederlo giocare, perché ha una classe inarrivabile. Roger vuole vincere sempre, ma ormai non possiamo pretendere che questo possa avvenire come un tempo».
– Nadal va avanti tra alti e bassi: anche a Wimbledon non ci sarà.
«Ha cominciato a vincere da giovanissimo ed ha sottoposto il suo corpo ad un forte stress. Perché Rafa non è come i tennisti con una carriera anche più lunga della sua, che però si sono fermati al secondo o terzo turno. Lui per un decennio nei tornei arrivava sino in fondo ed ha consumato fisico e testa, vivendo nel 2015 un anno horribilis. A Montecarlo mi ha dato l’impressione di essere in miglioramento e infatti ha trionfato, mentre adesso si è nuovamente fermato, segno che comincia a fare fatica e che ritrovare continuità di rendimento ad altissimi livelli non sarà facile».
– L’Italia sta vivendo un periodo di grande crisi, che il ritiro della Pennetta e le difficoltà di Fognini stanno acuendo. Panatta una soluzione per ripartire ce l’ha?
«In Francia, che potrebbe essere per noi la nazione di riferimento, i ragazzi più promettenti vengono seguiti da ex giocatori di valore. In Italia tutto questo non avviene, né a livello istituzionale e mi riferisco alla federazione, né a livello privato. Per spiegare certe cose ci vuole esperienza. La biomeccanica e il lavoro di video, che oggi sembrano essere alla base della preparazione, sono sicuramente utili, ma forse è più importante che i giocatori abbiano accanto un coach bravo, che possa indicargli come si deve fare, uno che abbia vissuto in campo determinate situazioni e che possa trasmetterle. E la colpa spesso è dei giovani tennisti e dei loro genitori che pensano di poter risolvere i loro problemi con un figlio campione, consigliandoli male».
– Il Panatta brillante commentatore di Eurosport, si diverte e fa divertire nei suoi duetti con Ocleppo. Indimenticabile, nella finale 2015 di Parigi, dopo uno dei tanti, fantastici punti di Stan Wawrinka, l’esclamazione in coro: “Sì, ora alziamoci tutti in piedi”.
«Con Eurosport mi trovo benissimo, dico quello che penso, con la solita passione. E la coppia con Gianni Ocleppo, che ha grande competenza ed è stato mio compagno di Davis, funziona».
– Passata l’amarezza per lo scarso rispetto dimostrato dalla Federtennis per gli eroi di Davis in occasione della recente celebrazione agli Internazionali di Roma?
«Ormai non ci faccio più caso. Conosco le persone, non hanno la stessa cultura o sensibilità che incontri in altri grandi eventi, Parigi in testa. Noi, purtroppo, viviamo in un Paese che non si indigna, che vive con indifferenza e che dimentica troppo in fretta. Forse anche per la storia che abbiamo avuto. In Francia, è solo un esempio, tutti i giocatori che hanno un passato in Coppa Davis vengono invitati nella tribuna presidenziale, perché il momento del torneo è solenne».
– 55 anni di amicizia con Bertolucci...
«Paolo è l’amico di una vita e in questo lunghissimo periodo il rapporto è stato speciale. Anche se ci vediamo poco, siamo sempre pronti a prenderci in giro. Potrei raccontare mille storie, di sicuro ha avuto una grande forza a sopportarmi per così tanti anni».