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Usa, quel segreto
di Stato puzza

Usa, quel segreto di Stato puzza

Presidente Obama, parli! Non si trinceri anche lei, cavaliere senza macchia e senza paura, onusto di glorie e di allori, alfiere dei diritti fondamentali e di millanta e passa altre libertà individuali, dietro la logora formula del “segreto di Stato”. I rumors arrivati fino alla nostra Italietta dicono che lei sa molto, molto di più, di quello che i perbenisti (e i gonzi) in servizio permanente effettivo immaginano sull’attacco alle Torri Gemelle dell’11 settembre 2001. Ci riferiamo allo sganassone più violento, assieme a Pearl Harbour, che la sua nazione abbia mai dovuto subire nel corso della sua variegata storia. Una storia in cui, come in un toboga o su un ottovolante, si alternano alti e bassi, curve e controcurve, struggenti e ammirevoli difese della democrazia e luride e banditesche azioni di politica interna e internazionale. Ora, succede che talvolta, come diceva Agatha Christie, tre indizi facciano una prova. E che, nel caso in questione, aumentino a ogni passo le tracce che portano all’Arabia Saudita. E al suo governo dell’epoca. Lei, Mr. President, sa che i cittadini americani tollerano quasi tutto, meno che la menzogna. “CiccioBilly” Clinton si è salvato per un pelo, all’epoca del caso Monica Lewinski. Alla sua ambiziosissima mogliettina, Mrs. Hillary, potrebbe anche accadere di prendere un muro di calcestruzzo sui denti nella sua corsa verso la Casa Bianca. Dipende da quanto scaveranno nelle e-mail “segretissime” che la signora ha giurato di non avere mai inviato. E che invece conoscono nei peggiori bar di Caracas e in tutte le kasbeh nordafricane. Forse è per questo che lei, Mr. President, finora ha svicolato e non ha detto niente. Meglio tacere sulle vere origini di un attentato che ha causato circa tremila morti “diretti” e alcuni milioni di vittime “collaterali”. Sì, perché da allora, il mondo non ha avuto più pace. Ci è stato tolto persino quel simulacro di tranquillità incollata con lo scotch che ci siamo goduti fino a una quindicina d’anni fa. Ma andiamo ai fatti. Si chiama “Memos on Alleged Saudi-Affiliated Support of the 9/11 Attacks”. Tradotto alla meno peggio significa “Note sul sospetto sostegno dell’Arabia Saudita agli attacchi dell’11 settembre”. E’ un documento rilasciato dai National Archives, ripubblicato pari pari dal New York Times, sulle impressioni che sono state “informalmente” rese note dalla Commissione parlamentare sull’11 settembre, e da cui si desume che il ruolo dei sauditi negli attentati dovrebbe essere abbastanza individuabile. Diciamo “informalmente” perché il vero documento di sintesi (il famosissimo, anzi, mitico “28 pagine”) lei, come gli altri presidenti, lo ha secretato. E quando il Senato ha votato (il mese scorso), all’unanimità, una legge per autorizzare i parenti dei morti negli attacchi a far causa all’Arabia Saudita (più chiaro di così…) lei ha minacciato, guarda tu, di mettere il veto. Lei non dice la verità e per non raccontare frottole, semplicemente (e furbescamente) tace. Ancora la Camera si deve pronunciare sulla proposta di legge (“bill”) che però, presto, molto presto, potrebbe diventare “act”, cioè norma effettiva. Sempreché lei non si metta in mezzo con un veto, per salvare la faccia ai suoi “dollarosi” alleati, che usano giacere su un oceano di petrolio. Non so se mi spiego, ma già gli sceicchi sono già usciti fuori al naturale: hanno minacciato un “economic fallout”, cioè pesanti ricadute economiche per gli Usa, nel caso il Congresso dovesse far passare la legge. Sappiamo che lei ha fatto l’impossibile per cercare di “convincere” mezzo Congresso a occuparsi di “cose più immediate”. Sappiamo anche che l’altro mezzo Congresso è stato avvisato delle pesanti conseguenze finanziarie, politiche e diplomatiche di partorire una legge che potrebbe consentire d’arrivare… alla verità. “Così è (se vi pare)”, scriveva un nostro grande conterraneo. Ma, in questo caso, i “pareri” vanno tutti a farsi strabenedire. C’è poco da girare in tondo su un argomento che è di una gravità morale assoluta e oggettiva. E tanto per far capire che con gli “sghei” gli sceicchi scherzano poco e niente, sappiamo che il Ministro degli Esteri saudita, Adel al-Jubeir, le ha spedito un messaggio (o un “pizzino”, faccia lei Mr. President): se la legge anti-Arabia Saudita verrà votata ed entrerà in vigore, il giorno dopo la Banca Centrale degli sceicchi si sbarazzerà di tutti gli asset finanziari americani che tiene in saccoccia. Quanto? La bellezza di 750 miliardi di dollari. Una botta che farebbe cadere il già incartapecorito Zio Sam sotto un treno direttissimo. Non ricorda di cosa parliamo? Beh, ogni tanto una rinfrescatina alla memoria non fa poi tanto male. Mark Mazzetti e Scott Shane, sul New York Times, hanno ripercosso, millimetro per millimetro, tutta la strada (tortuosa) sulla quale viaggia questa brutta storia. Già nel 2004 l’Fbi aveva interrogato (ma sarebbe meglio dire “spremuto”) un funzionario saudita del Consolato di Los Angeles, Fahad al-Thumairy, accusandolo di avere ospitato e assistito due dei dirottatori, Nawaf al-Hazmi e Khalid al-Mihdhar. Risultato: mille blablabla, farfugliamenti assortiti e la netta consapevolezza che il saudita c’era dentro fino al collo. E il suo governo? Una bella domanda. Ma visto il coinvolgimento diplomatico di Riad e il successivo atteggiamento dei suoi leader, i sospetti sono lievitati come un panettone extra-large. Il funzionario saudita non solo ha organizzato il comitato di benvenuto ai due tagliagole di al-Qaida, ma avrebbe anche messo a loro disposizione dei “guardaspalle”. L’agente dell’Fbi di San Diego che ha condotto le indagini, Richard Lambert, ha sostenuto che se si deve parlare di “occasionali coincidenze”, allora il “28 pagine” è zeppo di fatti straordinariamente “casuali”. E per giunta, in una recente intervista rilasciata alla televisione al-Arabija, l’attuale direttore della Cia, John Brennan, ha detto che, per evitare distorte interpretazioni, lui il mitico documento “28 pagine” lo renderebbe pubblico, togliendo il segreto di Stato. Ma ha anche avvisato i potenziali futuri lettori del report di non lasciarsi fuorviare, traendo facili conclusioni. Sì, insomma, si potrebbe anche pensare che l’Arabia Saudita sia in qualche modo alle origini dei massacri. Ma la cosa non è così automatica. Perché (specie per chi crede che l’asino voli) “gli attentati li ha progettati solo al-Qaida”. Resta il fatto che i due terroristi, assistiti di tutto punto dal Consolato saudita di Los Angeles, hanno poi dirottato e abbattuto il 757 che si è schiantato sul Pentagono. Mr. President, anche lei pensa che gli asini volino?

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