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Terrorismo, ormai
è allarme rosso

Terrorismo, ormai è allarme rosso

Funziona così: l’Isis sfrutta le corbellerie commesse a iosa dalla diplomazia occidentale per insinuarsi in tutte le pieghe della società euro-americana. Come un malefico “blob” si espande inarrestabile, mentre i cervelloni, dalla Casa Bianca a Bruxelles, sono girati dall’altro lato. I “califfi” interpretano alla lettera la “globalizzazione” e seminano bombe e cadaveri in mezzo mondo, dal Camerun fino al Bangladesh, dove i morti italiani sono nove. Adesso hanno preso di mira soprattutto gli aeroporti. Tutti, nessuno escluso. Il messaggio lanciato ai “lupi solitari” durante il Ramadan è inequivocabile: colpite ovunque sia possibile. Detto fatto.

La strage di Istanbul è un “classico” di ciò che l’Isis, da ora in poi, sarà capace di fare. E noi come reagiamo? Anziché “fare squadra”, unendo le forze dei potenziali bersagli, decidiamo di prolungare le sanzioni alla Russia. Per soddisfare i luridi interessi strategici e commerciali dei “soliti noti”, al di qua e al di là dell’Atlantico.

Amigos, così non va, e presto potremmo essere chiamati tutti a pagare le pere di una politica estera fatta col salame sugli occhi da quattro dilettanti allo sbaraglio. Occorre cercare di anticipare le mosse del terrorismo, e per questo non basta la solidarietà “di facciata”. Quella è gratis. Bisogna, invece, spendere fior di quattrini nell’intelligence e, soprattutto, varare un piano di collaborazione internazionale che superi i vecchi steccati ideologici tra Est e Ovest.

Chiunque, oggi, alimenti divisioni o, peggio, contrapposizioni con la Russia di Putin finisce per schierarsi dalla parte del “Califfo”. Esiste, nelle relazioni internazionali, una scala delle priorità, una strategia che ha precedenza assoluta: la lotta al più bestiale dei terrorismi islamici, quello dell’Isis, che fa impallidire persino i traumatici ricordi che abbiamo di al Qaida.

L’Ucraina, le sanzioni economiche contro Mosca, le beghe energetiche, la leadership diplomatica a livello globale per ora devono passare in secondo e terzo piano. La vera emergenza è evitare che si ripetano scene come quelle viste all’aeroporto di Istanbul, o a Parigi e Bruxelles.

Il riavvicinamento tra la Russia e la Turchia è figlio di questa nuova “exit strategy” dall’emergenza-sicurezza. Anche Erdogan si è reso conto che continuare a giocare la partita di poker da solo, al buio e contro-buio, rilanciando di continuo, era un bluff da quattro soldi. Si vince tutti insieme. O tutti assieme si perde.

Il bizzoso e irascibile presidente turco si è scusato (meglio tardi che mai) per l’affaire dell’aereo russo abbattuto «perché aveva sconfinato» (di qualche metro). L’avevamo già spiegato col cucchiaino che, in quell’occasione, Mosca aveva ragione da vendere. Bastava studiarsi le tracce radar per stabilire chi mentiva. Ma ora i cinquanta morti di Costantinopoli a chi li mettiamo in conto? A quei quattro brachettoni che, salame sugli occhi e cervello ottuso dal perbenismo di facciata, continuano a scavare un solco coi russi?

Perché, è bene che lo si sappia, il “Califfo” li ringrazia, sono loro i suoi migliori alleati. E tanto per chiarire di cosa stiamo parlando, è stato confermato che la “mente” dell’attacco di Istanbul è Akhmed Chatayev, un terrorista ceceno che ha orchestrato il gruppo d’assalto formato da cittadini (islamici) in arrivo da Uzbekistan, Kyrgyzistan e Russia.

Capito mi hai? Noi mettiamo le sanzioni economiche a Mosca, scherziamo continuamente col fuoco per colpa di quattro cialtroni barricati nelle Cancellerie occidentali, senza ritegno e senza idee, e i terroristi anti-Putin ci fanno la festa. E allora rinfreschiamoci la memoria.

Un mese fa abbiamo scritto che il massacro di Orlando (50 morti e 53 feriti), in Florida, non apriva, ma confermava scenari inquietanti. Già da un anno i servizi segreti occidentali (ma anche l’Fsb russo) «hanno cambiato idea sul rapporto tra Ramadan (il mese sacro dell’Islam, cominciato il 6 giugno) e terrorismo». Prima si pensava, tutto sommato, di assistere a un periodo di tregua: la finestra di tempo più a rischio era considerata quella immediatamente successiva alla fine del digiuno. Oggi, invece, dopo le “novità” dell’anno scorso, gli 007 di mezzo mondo sudano freddo. È accaduto infatti che, sovvertendo ogni “consuetudine”, uno dei leader dell’Isis, Abu Mohammad al-Adnani, abbia lanciato un appello a tutti i militanti invitandoli a compiere sanguinosi attacchi terroristici proprio durante il mese sacro.

Quest’anno hanno cominciato con la Giordania, proseguito con Damasco e inferto un colpo scioccante in Florida. Ora i massacri si sono spostati in Turchia, Somalia, Afghanistan, Bengala e arrivano fino al Camerun. La svolta strategica imposta dal “Califfo” era risaputa nell’ambito dei Servizi di sicurezza, che si aspettavano (e si aspettano ancora, è meglio dirlo chiaro) una mazzata anche nel Vecchio Continente. «More airports under Isis threat after Istanbul», titolano gli israeliani di Debka. Cioè, per dirla corta e netta, aspettatevi che altri aeroporti facciano la fine di Istanbul.

D’altro canto, il Direttore della Cia, John Brennan, ha messo le mani avanti in un’intervista: l’Isis progetta di scatenare il finimondo anche negli Stati Uniti. «Sono molto preoccupato – ha aggiunto – per il ruolo che ho nel valutare le capacità di Daesh (l’Isis, n.d.r.) di seminare terrore». Beh, e se ha gli incubi lui, che è il capo della Cia, che dire di noi, povere vittime predestinate?

Brooking Institution ha fatto un sondaggio, che ha stabilito come la preoccupazione numero uno degli elettori Usa (al 66%) sia ormai il terrorismo. Hillary Clinton è avvisata. Al solito, gli analisti israeliani (che sentono il fuoco alle terga) sono tra i più raffinati. E informati. E sbertucciano il capo del Pentagono Ashton Carter, che propaganda la vittoria di Falluja manco vendesse cammelli e tappeti. Dimentica di dire, sostengono a Gerusalemme, che in Irak stanno vincendo gli iraniani e i loro alleati sciiti e che ciò potrebbe allargare il solco con l’universo sunnita. Di cui fa parte l’Isis.

In molti sono convinti che sia stato proprio il turco Erdogan a darsi la zappa sui piedi, firmando il memorandum d’intesa (la scorsa settimana) con gli israeliani. Quando il “Califfo” ha saputo la notizia apriti cielo. Avrebbe dato immediatamente ordine di dare una prima ripassata ai turchi, nell’attesa di far partire i fuochi d’artificio in qualche altro aeroporto. Di questo sono certi i servizi segreti israeliani. Che rivelano un’altra notizia inquietante: presto, molto presto potrebbe toccare a qualche altro aeroporto. Who is next? Chi sarà il prossimo? Si chiede il think-tank israeliano di Debka.

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