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La Turchia
si “vende” la Nato

La Turchia si “vende” la Nato

Credeteci: non c’è partita. È come quelle finali di Champions League quando una squadra di calcio, zeppa di fuoriclasse, si permette di giocare sempre all’attacco, mentre gli altri, modestissimi mestieranti della pedata, si affannano a mettere i catenacci davanti alla porta. Il Barcellona della diplomazia ha un nome e un cognome. Si chiama Vladimir Vladimirovic Putin. Ex ufficiale del KGB, sguardo gelido da “cyborg”, rating di simpatia vicino allo zero (assoluto, quello dei gradi Kelvin), ma scaltrezza, astuzia e, diciamocelo pure, intelligenza negli “affari di Stato”, che i suoi avversari, da Washington a Bruxelles si sognano. È lui il “principe” del tiki-taka della politica estera. Una specie di Messi riveduto e corretto. Anzi, per chi ama e capisce di calcio, un Iniesta senz’anima, ma con molto cervello. Obama? Gli fa un baffo. Lui e tutti i suoi 2997 consiglieri di foreign policy. L’Unione Europea? Che il Signore ci scansi e ci liberi da quella manica d’incapaci (se no non li avrebbero scelti) buoni solo a scaldare le sedie e a rimanere attaccati col mastice alle poltrone che contano. Gli unici avversari seri del nuovo zar sono i cinesi. Ma quelli giocano solo a dollari, anche a costo di truccare le macchinette. Per loro la politica estera è una slot-machine da spremere come una “pezzata” olandese. Perdonateci lo sfogo, ma gli scenari mediorientali, da una ventina d’anni a questa parte, sono da clinica neurodeliri. L’ultima “sorpresa”, in ordine strettamente cronologico, è la Santa Alleanza che non t’aspetti: quella tra la Turchia di Erdogan e la Russia di Putin. Cioè due Paesi che fino a sei mesi fa viaggiavano in rotta di collisione e che ora, invece, si dividono pane e companatico. Il Cremlino ha colto al volo l’opportunità servitagli su un piatto d’argento dai brachettoni americani: il fallito colpo di Stato contro Erdogan, dove i cervelloni a stelle e strisce erano dentro fino al collo. Ora cercano di nascondere il sole con la rete, come la Nato e gli europei, che “non potevano non sapere”. Bene, sapete com’è finita quest’ennesima battaglia di Canne della diplomazia? Che le legioni romane sono state fatte a fettine e i cartaginesi di Annibale-Putin si sono alleati con gli ex nemici turcomanni. Manovra da finissimo stratega, perché, udite udite e segnatelo con l’evidenziatore, per la prima volta, dopo che le scelte di Obama avevano scatenato la terza guerra mondiale (islamica) tra sunniti e sciiti, un’altra grande potenza (la Russia) è riuscita a mettere assieme il diavolo e l’acqua santa, chiudendo il cerchio. Dunque, Putin ha rotto un tabù, siglando un patto d’acciaio con la Turchia sunnita e tirandosi appresso tutti suoi amici sciiti: Iran, Siria di Assad, Libano, Hezbollah, mezzo Irak e Yemen. Ha dimostrato che, davanti a interessi concreti e “materiali”, anche le ataviche inimicizie religiose possono essere messe da parte. Erdogan ha girato le spalle alla Nato e spernacchia l’Europa a pieni polmoni, mettendola in guardia. O si dà una “regolata” (capito Mrs. Pesc?) o aprirà a fontana i rubinetti dell’esodo dei rifugiati che, in file chilometriche, aspettano di riversarsi nel Vecchio Continente, seguendo la Balcan Trail. Il Presidente turco e lo zar del Cremlino si sono abbracciati fraternamente meno di una settimana fa a San Pietroburgo. I turchi sono arrivati con un battaglione di ministri, militari e uomini d’affari per discutere di tutto: alleanza strategica (alla faccia della Nato), progetti infrastrutturali comuni e, soprattutto, energia e materie prime. Gas, greggio, benzina e minerali assortiti. Insomma, di tutto e di più.

Alla Casa Bianca, al Pentagono e a Langley (sede della Cia) i sudori freddi scorrono a fiumi. Obama non può far fare a Gulen (l’oppositore di Erdogan rifugiatosi in America) la stessa fine riservata a Mubarak o ad altri “clientes”. Però…però nei palazzi che contano gli strateghi Usa temono che Erdogan demolisca la Nato dall’interno, passando a Putin tutti i suoi segreti: dal posizionamento dei missili nucleari alle marche di scatolette che mangiano i gatti nelle basi militari. Insomma, si rischia il tracollo. E poi, che fine faranno le teste di ponte statunitensi in Turchia, a partire da Incirlik? Ma, a detta dei più seri specialisti di affari mediorientali (gli israeliani), i veri perdenti del nuovo asse di ferro Ankara-Mosca potrebbero essere i curdi. Erdogan ha chiesto assicurazioni in questo senso e il Cremlino gliele ha fornite. Putin vuole reimpostare la guerra all’Isis su nuovi presupposti, tirando dal suo lato non solo tutti gli sciiti della regione (quelli ce li ha già) ma anche i sunniti moderati, che sarebbero “garantiti” dalla presenza turca. Ergo: la geografia diplomatica della regione rischia, ancora una volta nell’arco di pochi mesi, di essere rigirata come una frittata. Tra l’altro, Erdogan incontrerà prestissimo a Teheran il Presidente Rohani, con cui discuterà una specie di trattato d’amicizia. E Obama? L’inquilino della Casa Bianca, a dirla tutta, non vede l’ora di sbaraccare e di lasciare una montagna di patate bollenti nelle mani della Clinton. Lui la conosce bene e sa, perfidamente, che si ustionerà. Perché in politica estera è un’incapace. Sì, proprio come i suoi colleghi di Bruxelles, che almeno hanno la giustificazione di contare quanto il due di coppe quando la briscola è a bastoni. Quindi, ricapitoliamo. Se oggi dobbiamo avere paura a prendere un caffè in un bar o a sederci su un treno (per non parlare di un aereo di linea) lo dobbiamo a una congiunzione astrale di supponenza, strafottenza e mancanza di qualità di un buon gruppo di politicanti. Prima Clinton e il Council on Foreign relations Usa con la teoria della democrazia “esportabile”, poi Bush-figlio con la Seconda guerra del Golfo (e le prove contro Saddam falsificate a tavolino dalla Cia), poi quel pallone gonfiato di Sarkozy, che ha regolato a modo suo, con Gheddafi, i conti che riguardavano petrolio e uranio, truccando il copione della “Primavera araba”. Infine Obama (il meno colpevole) e Lady Clinton, che da Segretario di Stato si è dimostrata un’astiosa pasticciona, gelosa dell’ombra che le facevano l’attuale Presidente e l’ex (“CiccioBilly”). Mettetevelo in testa: se la signora arriverà alla Casa Bianca sarà principalmente per merito del suo avversario, Trump, l’energumeno impresentabile scelto dai repubblicani in vena di suicidio di massa. E comunque segnatevi l’oroscopo: se Hillary si stravaccherà nello Studio Ovale, è proprio il caso di dirlo, ci farà vedere “cose turche”.

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