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Ecco le cause dell’11 settembre

Ecco le cause dell’11 settembre

L’11 settembre quindici anni dopo: commosso ricordo, commemorazione delle circa 3 mila vittime, ma, soprattutto, riflessioni sulle cause e sugli effetti. In quel giorno non caddero solo le Torri Gemelle, crollò un mondo fatto di convinzioni politico-strategiche rivelatesi solide come la carta velina. Non era vero che la guerra fredda si era conclusa con la vittoria del capitalismo sul comunismo. Era falso ciò che scriveva Francis Fukuyama sulla “fine della storia” ed era una bufala che gli Stati Uniti fossero diventati “il poliziotto del mondo”, essendo l’unica superpotenza rimasta. In effetti, il pianeta si rivelerà un boccone troppo grosso anche per l’America del Terzo millennio, che quasi si soffocherà nel tentativo d’inghiottire cotanto rospo. Le varie crisi si salderanno in “macro-aree”, meno gestibili di prima e le guerre, anziché scomparire sotto il verbo dello Zio Sam, si moltiplicheranno (come i morti) con una velocità mai vista a partire dalla Seconda guerra mondiale. Alla crisi nelle relazioni internazionali si sommeranno quella finanziaria (prima) e quella economica (poi), regalandoci un mondo complesso, insicuro, imprevedibile e, quindi, ingovernabile. Oggi siamo ancora in mezzo al guado, sempre più disorientati, incerti sulla direzione da prendere e ostaggio di rivolgimenti diplomatici impensabili fino a vent’anni fa. C’è stato un clamoroso “shifting”, il confronto globale non è più tra est e ovest, ma tra il nord e il sud del pianeta. E la bandiera dei diseredati, che una volta era nelle mani di Carlo Marx, in qualche modo adesso è brandita dalle milizie del profeta, soprattutto dalle frange più estremistiche. Ergo: non è finita la storia, ma sono invece cominciate centinaia di storielle, non tutte piacevoli. E, soprattutto, è cambiata, e di molto, la geografia. Ma dopo tanta filosofia spicciola, affondiamo il bisturi nel bubbone. Perché se siamo arrivati con le spalle al muro, beh, qualcuno dobbiamo ringraziare. La vittoria ha cento padri e la sconfitta è sempre orfana. Ora che in Irak, in Siria e in altre aree di crisi il barometro segna tempesta, negli Stati Uniti volano stracci. La domanda che tutti si pongono è molto semplice: visto il macello che si è verificato nel 2001, i servizi segreti americani hanno funzionato come qualche sonnacchioso ufficio di uno scalcinato municipio di periferia, oppure hanno fatto il loro dovere e sono stati, per usare un eufemismo, ignorati? La questione è ancora di scottante attualità e oggetto di analisi contrastanti. La mitica Cia (Central intelligence agency) ha tirato fuori un rapporto che scarica sulle spalle di George Tenet, ex direttore dello spionaggio a stelle e strisce, gran parte delle responsabilità legate al disastro delle Torri Gemelle. Insomma, mentre gli uomini di bin Laden scorrazzavano in lungo e in largo per gli States e si allenavano a dirottare aerei, le “barbe-finte” americane dormivano, o comunque non prendevano sul serio i segnali legati ai successivi e devastanti attentati. Più nello specifico, il “report” elaborato dall’Ispettorato dell’Agenzia ha accusato Tenet di “non aver agito in maniera soddisfacente” e di non aver saputo coordinare il duro lavoro fatto dagli agenti segreti. L’ex capo della Cia non sarebbe stato capace di superare l’accesa rivalità con la National security agency (Nsa), la misteriosa e ultrasegreta branca dei servizi (una specie di “grande fratello”) incaricata del controspionaggio elettronico. La Nsa, infatti, si è tenuta stretta le sofisticate intercettazioni effettuate a carico dei presunti terroristi, rifiutandosi di condividerle. Ma quello che suona come veramente tragicomico è il resto del rapporto. Almeno 60 funzionari della Cia avrebbero saputo da oltre un anno che due sospetti, Nawaf Al-Hamzi e Khaled Al-Mihdhar (poi tra gli autori dei dirottamenti dell’11 settembre) stavano per entrare negli Stati Uniti, ma nessuno si sarebbe preoccupato di passare l’informazione all’FBI (Federal bureau of investigation), incaricato del controspionaggio interno. Per cui, paradossalmente, i potenziali terroristi, sorvegliatissimi all’estero, dentro gli Usa potevano dormire tra due cuscini, liberi di fare i propri comodi e di allenarsi a pilotare aerei. Con il non trascurabile dettaglio della particolarità dei loro programmi “didattici”: (sembra una barzelletta, ma qualcuno sostiene che sia la verità) dicevano di essere interessati più ai decolli che agli atterraggi… La Cia, inoltre, controllava da vicino Khaled Sheikh Mohammed, presentato (solo dopo diversi mesi) come la “mente” dei dirottamenti, ma non aveva assolutamente capito che faceva parte dello stato maggiore di al Qaida. Organizzazione a cui non si è riusciti a tagliare i viveri prima dell’11 settembre (bloccando i conti bancari) per colpa “di ostacoli burocratici e di limitazioni giuridiche”.

Come a dire che i temutissimi 007 americani venivano sistematicamente messi alla porta dagli uscieri di turno. Forse è tutto vero, ma l’affaire puzza di operazione “fango nel ventilatore”: il rapporto, infatti, è stato redatto nel 2005, ma è venuto “miracolosamente” a galla dopo. Perché? Probabilmente qualcuno ha fatto pagare caro a Tenet quanto ha rivelato nel suo libro di memorie (“Al centro della tempesta. I miei anni alla Cia”), un best-seller in cui si accusano apertamente il vicepresidente Dick Cheney e la pattuglia dei duri “neocons” (Paul Wolfowitz, Richard Perle, Scooter Libby, Doug Feith e altri, ma stranamente non Donald Rumsfeld) di avere voluto e programmato a tavolino la guerra in Irak, tirando praticamente Bush per la giacca. Tenet, non bisogna dimenticarlo, era un uomo di Clinton, che lo aveva fatto nominare direttore della Cia nel 1997. Per questo mezza Amministrazione repubblicana non si fidava di lui e voleva la sua testa. All’epoca, la sua reazione a queste accuse al vetriolo è stata inviperita: “L’ispettore generale – ha dichiarato tranchant – ha completamente torto”. Che i servizi segreti americani, dopo la fine della Guerra fredda e la scomparsa degli acerrimi nemici del Kgb sovietico, si fossero, come dire, un po’ imborghesiti, è cosa nota a tutti gli analisti. Proprio l’improvvisa mancanza di un avversario che facesse da punto di riferimento, ha spiazzato le Amministrazioni statunitensi (sia democratiche che repubblicane) inducendole ad abbassare la guardia e a tagliare fondi e risorse destinate all’intelligence. Così, convinti di avere vinto la Guerra fredda, gli Stati Uniti non si sono accorti che un altro nemico più insidioso e temibile dell’Urss li attendeva al varco. Oggi lo sanno e si leccano le ferite.

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