Agatha Christie diceva che tre indizi fanno una prova. Qualcuno sta sabotando i tentativi di Obama di consolidare un’entente cordiale tra gli Stati Uniti e la Russia in Medio Oriente. C’è chi gioca a sparigliare, spudoratamente e senza valutare i contraccolpi di cotanta strategia del piffero. Solo che qui non si gioca una partita di scopone “scientifico”. No, in ballo, detto lapidariamente, ci sono i destini del pianeta. I fatti che stiamo per raccontare e i desolanti retroscena parlano abbastanza chiaro. E gli israeliani, che di questi tempi vedono rosso, come i tori infuriati, quando si parla di una certa politica estera Usa, non si sono fatti pregare per diffondere la versione raccolta dai loro efficientissimi servizi segreti. Noi non vogliamo arrivare a lanciare accuse a casaccio, ma qualche sospettuccio lo abbiamo. Anche perché nei santuari del potere a stelle e strisce il vento sta girando: ci si predispone a ossequiare il prossimo Presidente e magari a sfruttare qualche rendita di posizione, anticipandone ordini e umori. D’altro canto il mondo è strapieno di lacchè d’alto bordo (e basso lignaggio) che giocano a fare i “realisti” prima ancora che arrivi il re. Anzi, la regina. Punto. Gli eventi di cui parliamo si sono svolti nell’est della Siria, nella regione di Deir ez-Zour, dove i governativi sono all’attacco da mesi. Gli uomini di Assad, però, hanno avuto una sgradita sorpresa. Non appena sono riusciti a conquistare la roccaforte di Jebel Tudar, strappandola all’Isis, sono stati sotterrati di bombe. All’attacco dei siriani (che combattono non solo contro i ribelli, ma anche e soprattutto contro il Califfo) si sono scagliati gli aerei A-10 Thunderbolt dell’Us Air Force. Si tratta di veri e propri carri armati volanti, con una potenza di fuoco devastante, che si sono preoccupati di fare terra bruciata delle trincee siriane. Il Califfo sentitamente ringrazia. Non sappiamo se, a questo punto, manderà il panettone di Natale a Obama. Forse no, perché da loro non si usa. Sappiamo però che il Presidente degli Stati Uniti, non appena appresa la ferale notizia, ha dato di testa. Nello Studio Ovale stracci e piatti volavano ad altezza d’uomo, per un avvenimento che sembra uscito, dritto filato, da una scenetta di “Oggi le comiche”. E mentre le linee telefoniche col Pentagono si squagliavano, Obama, in preda a un attacco di delirium tremens ordinava un’immediata inchiesta interna. Bene, la domanda è: chi c’è dietro questa ennesima maccheronata, che ha fatto cadere la faccia a tutta l’US Air Force? Chi ha dato l’ordine di colpire gli ex nemici, oggi preziosi alleati nella guerra contro il jihadismo? Obama no. Lui, forse, dopo il pastrocchio, ha capito che mezza America “che conta” sta semplicemente aspettando che sbaracchi e lasci poltrona, poltroncine e strapuntini nelle mani di Lady Clinton. Che li distribuirà con generosità ai suoi “famigli”. Secondo il Mossad a Damasco (che ha avuto 80 morti) sono imbufaliti, mentre a Mosca sogghignano di sguincio, pensando che cotali “brachettoni” a stelle e strisce, incapaci e inaffidabili, sulla carta dovrebbero essere i loro avversari “strategici”. E siccome per la serie “la pezza è peggio del buco” l’Us Central Command ha presentato le sue scuse (“Sorry, si è trattato di un errore”) subito sono arrivate le controrepliche degli analisti: per come si è svolto il fattaccio, manco un battaglione di orbi col salame sugli occhi avrebbe potuto sbagliare. Insomma, almeno sul campo, i militari Usa sapevano chi stavano bombardando. Ergo: qualcuno pagherà, e qualche generale forse sarà spedito a svernare in una base del Pacifico dimenticata dal Signore. Andrà così perché a Gerusalemme la sanno lunga. Hanno anche il testo del “briefing” che ha preceduto la missione. Qualcuno ha cantato come un canarino strafogato di biscotti vitaminizzati. I piloti americani, adeguatamente catechizzati, sapevano chi stavano andando a bombardare, eseguendo un ordine squinternato ma “autorevole”. L’incidente fa il paio col bombardamento dei russi contro un convoglio della Mezzaluna Rossa ad Aleppo (subito adeguatamente smentito). Per vie traverse il Cremlino ha fatto sapere che i russi non c’entravano il resto di niente. Anzi, gli uomini di Putin ne hanno approfittato per lanciare, a loro volta, pesanti accuse. In sostanza, secondo Mosca, il convoglio “umanitario” fatto di ambulanze, era stipato di bombe, munizioni e mitragliatrici spedite per rifornire i ribelli anti-Assad. È proprio questo il punto. Il binomio Assad-Putin si è calato la maschera, caricando a testa bassa i ribelli anti-governativi sostenuti dagli Stati Uniti nella Siria nord-occidentale.
Dopo questa mossa Obama si è arroccato e qualcuno, evidentemente, gli sta forzando la mano per farlo replicare sul fronte orientale di Deir ez-Zour. In effetti, le ultime mosse della Casa Bianca sembrano apparentemente contraddittorie. Gli attacchi dell’Us Air Force contro i governativi potrebbero essere letti come un “altolà” rivolto a Putin e ai suoi stretti alleati di Damasco. Resta il fatto che, dietro le quinte, Obama si sta muovendo per evitare il completo tracollo del suo “gentlemen’s agreement” con i russi. Il Presidente ha convinto (per ora) il suo partito a evitare di sostenere la mozione contro Assad “per crimini di guerra”. Un’iniziativa che, se votata, potrebbe definitivamente guastare i già risicati rapporti con Mosca e colpire le residue disponibilità commerciali e finanziarie della Siria. Ma c’è un’altra iniziativa politica di Obama che sta facendo gridare allo scandalo e che sta lasciando perplessi molti osservatori. Dando ragione non tanto ai complottisti, ma a quelli (e sono la maggioranza), che ritengono l’armadio dell’11 Settembre stipato di scheletri, il Presidente ha posto il veto alla proposta di legge “bipartisan” di ignorare l’immunità “di sovranità” (una sorta di immunità diplomatica) di quanti i parenti delle vittime degli attentati vogliono chiamare in giudizio. In primis l’Arabia Saudita. Evidentemente ritenuta uno dei “santuari” sfruttati da al Qaida per preparare le stragi. Naturalmente, Obama fesso non è, ed è al corrente dell’ambiguità saudita. Ma fare il fesso in questo caso gli serve, eccome. All’università, per fare fino, la chiamano “realpolitik”.