Ci sono diversi modi per calcolare la magnitudo di un terremoto, basati su parametri diversi e disponibili in tempi diversi, ma tutti validi. L'obiettivo è ottenere misure sempre più precise, ma si tratta pur sempre di stime soggette a un certo margine di incertezza. Per questo motivo accade di trovarsi davanti a misure diverse della magnitudo di uno stesso terremoto, come il 5,9 calcolato dall'Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (Ingv) e il 6,1 calcolato dal Servizio per la sorveglianza geologica degli Stati Uniti (Usgs). "Per rapidità - spiega il sismologo Salvatore Massa, dell' Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (Ingv) - utilizziamo la magnitudo Richter, che misura l'ampiezza massima del sismogramma", ossia del tracciato che arriva nella sala simica e che registra le misure fatte dai sismografi. L'Ingv utilizza inoltre un modello calibrato proprio per l'Italia centrale e basato sui dati che arrivano da una rete di stazioni sismiche con una densità decisamente maggiore rispetto a quella delle altre agenzie internazionali che utilizzano modelli diversi. Lo stesso Charles Richter, il sismologo che negli anni '30 aveva elaborato la scala che porta il suo nome, non la considerava uno strumento ideale. Per i terremoti più forti, come quelli di magnitudo superiore a 6,0, per esempio, la magnitudo Richter (o magnitudo locale) non è considerata perfettamente attendibile. Per questo motivo i sismologi si servono anche del calcolo della cosiddetta "magnitudo momento". Questa, ha detto Massa, "si basa sulla stima del momento sismico, si basa cioè su una durata più ampia del sismogramma, fino a 30 minuti". Vale a dire che se quel tempo non trascorre non è possibile avere la misura. "In teoria - ha proseguito Massa - la stima della magnitudo Richter e quella della magnitudo momento dovrebbero essere analoghe. E' comunque probabile che, a seconda dei criteri di misura, possano differire di qualche punto decimale".