Quella che doveva essere una “blitzkrieg” fulminante, come quando la Wehrmacht mise in ginocchio la Francia in 45 giorni, si è invece trasformata in una specie di guerra di trincea, sullo stile “battaglie dell’Isonzo”. Insomma, la poderosa offensiva americana contro Mosul, congegnata per sbarazzarsi del Califfo, almeno in Irak, per ora arranca. L’attacco, preannunciato urbi et orbi, si è trovato di fronte un muro di gomma. I jihadisti lasciano le loro posizioni, retrocedono fulmineamente e ricompaiono da un’altra parte. Gli analisti dicono che, dietro cotanta strategia vincente, di tipo guerrigliero, ci sia mezzo Stato maggiore dell’esercito che fu di Saddam Hussein. Dopo la defenestrazione del dittatore, infatti, i cervelloni Usa, che una ne fanno e cento ne pensano, scelsero di rispedire a casa, a calci nel sedere, i migliori luogotenenti di Saddam. E oggi se li ritrovano contro. È come se Obama fosse costretto a combattere contro il fantasma di Saddam, che gli sta facendo passare un paio di notti di Halloween, a modo suo. Per ora si spara ferocemente a Bazwaia, alle porte di Mosul, diventata per il Califfato l’alfa e l’omega della sua storia. L’artiglieria della coalizione martella senza sosta le trincee dell’Isis, prima che i soldati irakeni si lancino in un combattimento che sarà fatto casa per casa. E tutto questo anche se la cronaca raccontata da molti “inviati di guerra” (tappati negli alberghi a cinque stelle) lascia un po’ il tempo che trova. Sorry, ma quando tu ripeti pedissequamente, il “mattinale” che ti strofinano sul muso ogni giorno gli americani, allora rischi di diventare l’ultimo scantinato dell’Ufficio stampa targato US Army.
In pochi dicono che, negli ultimi giorni, le milizie islamiste hanno fatto vedere all’armata brancaleone a stelle e strisce i sorci verdi con la coda paglina. Divergenze nelle motivazioni? Forse. Diversità di vocazione al martirio? Sicuro. La novità è che da venerdì scorso le milizie targate Iran hanno preso piede, minacciando di scatenare un bagno di sangue contro i sunniti che saranno trovati vivi a Mosul. La seconda novella, però, è di quelle che ti tolgono il sonno: l’Isis potrebbe accingersi a lanciare missili con una gittata di 500 chilometri in tutte le direzioni, da Baghdad fino a Israele. Ma andiamo con ordine. I paramilitari sciiti di Bader Brigades e quelli di Population Mobilization Force hanno annunciato che la loro avanzata verso Tel Afar (55 Km. a ovest di Mosul) scatterà al più presto. A coordinarli sarà il leggendario generale iraniano Qassem Soleimani, delle brigate Al-Qods, che prende ordini direttamente dagli ayatollah. Certo, da un punto di vista strategico, se gli sciiti riuscissero a chiudere il corridoio di Tel Afar, taglierebbero definitivamente l’unica strada che lega i “califfi” alla Siria. Naturalmente, l’iniziativa sciita ha già seminato lo scompiglio tra turchi e curdi. Prendere Tel Afar darebbe ai pro-iraniani un formidabile asso nella manica e un vantaggio strategico non indifferente. Strano, affermano gli analisti, che gli americani non ci abbiano pensato prima. Così la situazione sul campo si fa confusa. Specie dopo che i Peshmerga curdi hanno chiarito di non avere alcuna intenzione di mettere piede a Mosul. Dunque chi saranno, materialmente i “conquistadores”? Restano i governativi irakeni e le truppe dello Zio Sam. Notizie di corridoio parlano del ruolo che potrebbe avere la 9° Divisione “Golden”, forza d’élite i cui comandanti, però, hanno già chiarito di avere assoluto bisogno di rinforzi. Richiesta da un milione di dollari, difficile da soddisfare. Le forze irakene, infatti, per coprire decentemente tutto il fronte, sono state stirate come la pasta per la pizza. Un’altra botta di mattarello e comincerà lo “strappa strappa”. Come la scorsa settimana, quando Baghdad ha spostato alcune truppe, scatenando la controffensiva dell’Isis a Kirkuk, Sinjar e Rutba. Bene, che fare allora? Bisognerebbe trovare altri “alleati” da lanciare nella battaglia, è la risposta più ovvia. Già, ma chi è disposto a farsi scannare per Mosul? Dal lato americano, diciamocelo francamente, la vocazione al martirio (per fortuna) è merce rara. Mentre dall’altro lato, invece, abbonda e si taglia a fette. I luogotenenti del Califfo non ci hanno pensato due volte e hanno immediatamente utilizzato degli ostaggi civili per schermare gli obiettivi. Come le Waffen SS nella Seconda guerra mondiale, all’Isis hanno pensato di utilizzare scudi umani (tra cui molte donne e bambini) per “sconsigliare” gli attacchi. A chi si rifiuta di fare da paracarro risolvono subito il dilemma: un colpo in testa e via.
Con questo sistema, mercoledì scorso sono state liquidate 232 persone. E poi, perso per perso, si sarebbe chiesto il Califfo, non fa “perso al quadrato”? Ok, diamoci da fare. Detto fatto ha diramato l’ordine di utilizzare armi chimiche (compresi i “nervini” non appena sarà possibile). Male che vada, come abbiamo già detto, ai carissimi nemici un paio di missili “medium range” da 500 chilometri non li toglie nessuno. Tanto, loro li hanno avuti gratis saccheggiando i depositi di al-Assad. Un altro aspetto della crisi che incuriosisce gli osservatori è la comparazione tra l’avanzata Usa a Mosul e l’attacco russo ad Aleppo. La differenza è che in Irak, assieme all’Isis, combattono molti ex ufficiali di Saddam Hussein, che dell’US Army conoscono ogni possibile difetto. Così, mentre gli americani andavano all’assalto di Mosul manco si trattasse di Falluja o Ramadi, il Califfo preparava decine di piccole controffensive, nell’attesa di allargare il conflitto anche a Giordania e Arabia Saudita, utilizzando una strategia di guerriglia. Per questo, dicono gli esperti, il piatto piange. Obama è concentrato solo su Mosul, mentre i jihadisti sparano a tutto quello che si muove e sono pronti a rubare anche il sacchetto delle caramelle ai bambini. Si chiama “guerra totale”. E non si fanno prigionieri. L’hanno capito pure i russi che, pur di arrivare al loro scopo, ad Aleppo, stanno facendo patti anche col diavolo. Naturalmente, scenari di questo tipo possono essere gestiti solo se le informazioni raccolte sul campo sono “fresche” e affidabili. Per i russi questo sistema funziona discretamente bene, per gli Stati Uniti invece no. Ecco perché mentre la coalizione decide di attaccare la città “X” l’Isis sta già contrattaccando “Y”. Di questo passo non si capisce più chi attacca e chi si difende. Spiegatelo a Obama.