Martedì 8 novembre, ore 18. Tra Hillary Clinton e Donald Trump chi vincerà lo sprint finale per la Casa Bianca? La curiosità è tanta, come forse mai è accaduto. Lo si percepisce subito, appena si varca la soglia del Westin Excelsior di Roma, a un passo dall’Ambasciata degli Stati Uniti d’America, in via Veneto. La serata si prospetta “ad alta tensione” per gli ospiti dell’ambasciatore John Philips e dell’incaricato d’affari presso la Santa Sede, Louis Bono. Superati i ferrei controlli della security, nel grande salone di uno degli alberghi più famosi della Capitale, un cinque stelle oggi in mano agli sceicchi del Qatar, gli occhi cercano i grandi monitor che consentiranno di seguire, minuto per minuto, le notizie da Oltreoceano: dalle 22 fino all’alba, con i dati dell’Alaska a chiudere il cerchio. Si chiacchiera subito per rompere il ghiaccio, si incrociano persone che non si vedevano da tempo ma il tema che tiene banco è unico. Chi arriverà al traguardo? Come cambierà il rapporto tra Usa ed Europa, se mai cambierà? I discorsi, più in italiano che in inglese anche per dovere di... ospitalità, finiscono col cadere su due temi specifici. I rapporti nell’ambito dell’Alleanza atlantica e la politica economica del nuovo presidente. Chiunque sarà scelto potrà mai modificare l’approccio americano rispetto agli storici alleati europei? In campagna elettorale l’argomento è stato forse seguito più dalle Cancellerie che dalla gente comune. Ma come non parlarne? Comunque sia, su un punto, tutti sembrano concordare: il successore di Obama dovrà vincere sfide tanto complesse da richiedere anni di impegno. Col contributo dell’Ue che le vive in prima persona: Medio Oriente e terrorismo, Russia e Ucraina. Senza tralasciare le preoccupazioni del Giappone alle prese con l’ipertrofica presenza della Cina. Arrivano i primi dati: tutti col naso all’insù. È troppo presto per azzardare scenari, ciascuno resta fermo sulle proprie posizioni, frutto di sensazioni più che di certezze. Un buon bicchiere di vino può essere utile per continuare ad affrontare la maratona notturna, anche col supporto di un argomento che in questo momento di crisi economica è più che gettonato. Chi sarà più funzionale per fare accelerare l’economia stelle e strisce, dando una boccata d’ossigeno a un’Ue sfiancata da 8 anni di crisi? Hillary sembra essere la beniamina di Wall Street, appare rassicurante. Donald non dispiace alle oil company, che contano eccome. A entrambi guarda chi spera in seri investimenti nel settore delle opere pubbliche. Con quali risorse è da vedere, visto che entrambi vorrebbero tagliare le tasse. Senza rendersene conto, i numeri che si materializzano a getto continuo sui monitor indicano il vincitore in Florida, uno Stato “chiave”: Trump il Repubblicano cammina spedito verso la Casa Bianca. Il vantaggio per l’immobiliarista miliardario aumenta velocemente: alle 4.30 i grandi elettori sono 168 contro i 122 della Clinton (finirà 290 a 228). È fatta. È l’alba, non c’è più tempo e voglia di andare oltre: un caffè caldo, i saluti e scatta il rompete le righe. L’America ha voltato pagina, il 20 gennaio si insedierà il 45° presidente.