L'Italia è sempre più un Paese di anziani. Al 31 dicembre 2015 ogni 100 giovani c'erano 161,4 over65, rispetto ai 157,7 dell'anno precedente. Per quanto riguarda il confronto con gli altri Paesi europei, secondo gli ultimi dati disponibili (dicembre 2014), l'Italia era al secondo posto nel processo di invecchiamento della popolazione, preceduta solo dalla Germania. E' quanto si legge nell'Annuario dell'Istat per il 2016.
Sul territorio - informa l'Istat - è la Liguria la regione con l'indice di vecchiaia più alto (246,5 anziani ogni 100 giovani) mentre quella con il valore più basso è la Campania (117,3%) ma in entrambi i casi i valori sono in aumento rispetto all'anno precedente. Sempre in calo le nascite: nel 2016 i nati sono scesi sotto quota 500mila, a 485.780 unità. La differenza tra nascite e morti è stata pari a -161.791 unità, il che ha comportato un calo della popolazione residente che a fine 2015 si attestava a quota 60.665.551 persone. Il numero dei morti nel 2015 è cresciuto (49.207 in più rispetto all'anno precedente) e la speranza di vita, dopo anni di crescita costante, ha subito una battuta d'arresto, passando da 80,3 a 80,1 anni per gli uomini e da 85,0 a 84,7 per le donne.
Il numero dei Comuni italiani è sceso sotto quota ottomila. Ad aprile 2016 erano esattamente 7.999, "un numero inferiore a quello rilevato dal censimento del 1961".
Continua, per il quinto anno consecutivo, il calo degli iscritti al sistema scolastico. Nell'anno scolastico 2014/2015 gli studenti iscritti nei vari corsi scolastici sono stati 8.885.802, 34.426 in meno rispetto al precedente anno; un calo che riguarda le scuole dell'infanzia (-26.845), le primarie (-6.575) e le secondarie di primo grado (-22.037), mentre invece aumentano gli iscritti alle scuole secondarie di secondo grado (+21.031).
Prosegue il calo degli studenti che dopo il diploma scelgono di proseguire gli studi all'università, ma tra coloro che vanno avanti sono più numerose le femmine. Il passaggio dalla scuola secondaria all'università diminuisce ancora rispetto all'anno accademico 2013/2014 (-0,6%): sono poco meno della metà (49,1%) i diplomati nel 2014 che si sono iscritti all'università per l'anno accademico 2014/2015, con i valori più alti in Molise (58,1%) e Abruzzo (54,6%).
Omicidi volontari in calo, in particolare quelli di mafia, così come le rapine. Ma a dispetto dei numeri, tra la popolazione italiana cresce la percezione del rischio criminalità. I dati sui reati si riferiscono al 2014, mentre le opinioni delle famiglie sono state raccolte nell'anno in corso. Nel 2014 sono stati 2.812.936 (circa 46 ogni mille abitanti) i delitti denunciati dalle forze di polizia alla magistratura (-2,7% rispetto al 2013). E se gli omicidi volontari consumati sono scesi del 5,4%, una contrazione più significativa (-13,5%) l'hanno avuta quelli mafiosi, che nel decennio 2004-2014 hanno raggiunto il loro minimo. In calo anche le violenze sessuali denunciate (-5,1%), lo sfruttamento e il favoreggiamento della prostituzione (-6%). Tra i reati contro il patrimonio scendono le rapine (-10,3%), mentre aumentano i furti (+1,2%) e soprattutto le estorsioni (+19,4%). Nell'anno che volge al termine il 38,9% delle famiglie avverte la criminalità come un problema presente nella zona in cui vice (30% nel 2014). Un fenomeno che ha sua punta massima in Lazio ,dove una famiglia su due (il 50%)percepisce tale rischio, seguito da Veneto (45,7%), Emilia Romagna (45,5%) e Lombardia (44,3%); quest'ultima era al primo posto nel 2014. In quinta posizione la Campania, come nel 2014, ma la quota di famiglie è ben superiore (43,5% contro 33,3%).
Continua il calo dei condannati iscritti nel casellario giudiziario e dei detenuti. L'anno scorso - segnala l'annuario Istat 2016- i primi sono stati 314.550, in diminuzione del 10% rispetto al 2013 e del 3,1% rispetto al 2014. Mentre i secondi si sono attestati a 52.164, oltre 10 mila in meno rispetto al 2013. Quasi un detenuto su tre è di cittadinanza straniera (33,2%), con forti differenze però tra le varie aree del Paese: a Nord i non italiani sono il 46,9%, al Centro il 42,6% e solo il 17% nel Mezzogiorno. Sale invece al 29,8% ( tradotto in numeri 3 su 10) la quota di detenuti che svolgono un'attività lavorativa, nella maggior parte dei casi alle dipendenze dell'amministrazione penitenziaria (84,6% dei detenuti lavoranti). Lo scorso anno è proseguita anche la discesa dell'indice di affollamento delle carceri, da 108 nel 2014 a 105,2%. Malgrado però un notevole miglioramento solo 8 regioni e una sola provincia autonoma (Trento) hanno un indice di affollamento inferiore a 100. In Puglia si conferma il maggior sovraffollamento (131 detenuti per 100 posti letto regolamentari).
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