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Grammy: scontro tra regine e appelli anti Trump

Grammy: scontro tra regine e appelli anti Trump

Alla vigilia la superfavorita sembrava essere Queen Bee, che si era presentata allo Staples Center forte delle sue nove candidature le quali le avevano permesso inoltre di diventare l'artista più nominata della storia dei Grammys. Con i due grammofonini d'oro vinti, Beyoncé sale a quota 22, raggiungendo in questa particolare classifica giganti come Stevie Wonder, Chick Corea e gli U2. La cantante britannica invece era stata nominata "solo" in cinque categorie, ma tutte importanti e ha fatto l'en-plein. È lei la regina dell'anno musicale 2016, senza se e senza ma, tributo a George Michael a parte, che l'ha vista sfortunata protagonista durante l'esecuzione del brano Fast Love. "Chiedo scusa se ho offeso qualcuno da qualche parte del pianeta", sono state le parole dell'artista britannica al momento di ritirare il premio Song of the Year. Ora in bacheca Adele ha 15 grammofonini d'oro. Ray Charles ed Eric Clapton sono distanti solo due lunghezze. Premi a parte, durante la cerimonia dei Grammy Awards 2017 non sono mancati i riferimenti (in negativo) al neo presidente degli Stati Uniti, Donald Trump. Ad aprire le danze è stata Jennifer Lopez, che dopo solo dodici minuti dall'inizio della serata, poco prima di annunciare la vittoria di Chance The Rapper come Best New Artist, si è pronunciata dicendo: "In questo particolare momento della storia, le nostre voci sono necessarie più che mai. Come ha detto una volta Toni Morrison (scrittrice statunitense di origini afroamericane, ndr), è proprio questo il momento in cui gli artisti vanno a lavorare". E ancora: "Non c'è tempo per la disperazione, non c'è posto per la pietà di sé, non c'è bisogno di silenzio e non c'è spazio per la paura. Creiamo il linguaggio e attraverso questo possiamo curare la nostra civiltà. Questa sera celebriamo il nostro linguaggio più universale, la musica, in onore delle voci del passato e di quelle del presente". JLo prima, Paris Jackson poi. La figlia del re del pop, sul palco per presentare la performance di The Weeknd al fianco dei Daft Punk, entra più nello specifico sfruttando l'ovazione del pubblico in sala: "Possiamo davvero utilizzare questo entusiasmo per protestare contro la Pipeline. No al Dakota Access Pipeline". Il chiaro riferimento è all'oleodotto statunitense che passa per una riserva indiana, quella dei Sioux, e che ha nel presidente Trump uno dei maggiori sostenitori. L'oleodotto è già stato costruito quasi interamente, è sotterraneo, costerà in tutto 3,8 miliardi di dollari, è lungo quasi duemila chilometri e dovrebbe servire a trasportare il greggio dalla Bakken Formation - una zona al confine tra Montana e North Dakota - fino all'Illinois, attraversando South Dakota e Iowa. In chiusura di cerimonia ci hanno pensato gli A Tribed Called Quest e Anderson Paak a dissociarsi dalla presidenza Trump: "Quelli che dividono le persone non ci rappresentano".

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