– Gianni, ammettilo, il 18esimo trionfo Slam di Federer ha sorpreso anche te che su un campo da tennis pensavi di averle viste tutte...
«Ha sorpreso anche me, perché pensavo che l’ultima assenza fosse definitiva. Non lo era. Sono lieto di essermi sbagliato».
– Federer – come dici tu – potrebbe giocare con la racchetta di legno senza mandare la pallina in tribuna, ma forse il talento di John Mc Enroe è stato dello stesso livello.
«Il talento di Mac non è stato da meno, ma forse anche quelli di Tilden, Cochet, Kramer, Gonzalez e altri, diciamo 10, 20...»
– Aver intuito che i poco più che ragazzi Sampras e Federer un giorno avrebbero dominato il mondo è una delle tue infinite “perle”.
«Pare che i monaci buddisti intuiscano in un bambino se questi diventerà il Dalai Lama. La mia situazione, ahimè non religiosa, deve essere simile riguardo al Tennis».
– Rafa Nadal e Bjorn Borg esclusi, perché tanti “big” di differenti ere tennistiche o non hanno mai vinto il Roland Garros o ci sono riusciti appena una volta.
«Perché il gioco sulla terra rossa è diverso da quello sulle altre superfici sulle quali si giocavano gli Slam: la benedetta erba».
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LA RIBALTA
Lo show televisivo con Tommasi
spesso era più bello delle partite
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– Il periodo si presta per ricordare Arthur Ashe, che ha segnato un’epoca: il tuo ricordo.
«Ashe è stato più gentiluomo di tanti uomini bianchi, tipi alla Trump».
– Non hai mai nascosto fastidio per chi mostra pregiudizio nei confronti di chi scrive di sport, come se fosse un giornalista di Serie B, che è più o meno quello che disse di te Italo Calvino. Negli Stati Uniti è successo anche a un certo Hemingway...
«Ho superato simile fastidio quando ho capito che l’autore deve essere soddisfatto o no di quanto scrive, giornale o libro che sia».
– Mi racconti di quando Silvio Berlusconi, alcuni decenni fa, ti volle incontrare.
«Berlusconi mi offrì di dirigere la sua televisione, proposta che io passai a Rino Tommasi che l’accettò».
– Ognuno ha i suoi “problemi”, il mio si chiama Wawrinka che non riesco a capire, forte com’è, perché non vinca tre Slam e cinque Master 1000 a stagione. Un giorno tu mi sei venuto un po’ in aiuto, scrivendo: «Wawrinka non ha avuto probabilmente un buon psichiatra, che gli abbia chiarito perché, un paio di volte l'anno, egli sia imbattibile».
«Wawrinka è uno dei misteri del Tennis. Ma gli psichiatri non hanno l’abitudine di parlare in pubblico dei loro pazienti. Sarebbe interessante».
– Una volta hai detto che Djokovic è bravissimo a fare le imitazioni e che magari finito di fare il tennista si divertirà a fare l'attore. Il suo amico Fiorello ha poi aggiunto: «Può diventare più bravo di me». Intanto, però, il serbo ha qualche problema con la racchetta...
«Ma io non vedo quale problema debba risolvere Djokovic, considerato tutto quello che ha già conquistato. Se non vincesse più, sarebbe già entrato nel gruppo degli Immortali».
– Dopo aver gioito per Schiavone e Pennetta, vincitrici di Slam, quanto ci vorrà per rivedere un grande campione azzurro come Pietrangeli o Panatta?
«Bisognerebbe chiedere ai francesi quale sia l’organizzazione dei loro Lycée-Tennis e applicarla in Italia».
– “500 anni di tennis” e “Wimbledon” sono stati i tuoi più grandi successi, ma è vero che “Australia Felix” e “Una notte con la Gioconda” sono i romanzi di cui vai più fiero?
«Non direi, grazie a qualche protezione celeste io vendo sempre 10.000 copie dei miei libri e ciò sembra sufficiente all’editore. I miei libri sono, in fondo, tutti miei figli. I meno peggio sono, probabilmente, “I gesti bianchi”, “Cuor di gorilla”, le poesie de “Il suono del colore”, e, come sempre il prossimo che uscirà ad aprile, “Diario di un parroco del lago”».
– Dicono che la tua libreria di tennis abbia suscitato l’assoluta ammirazione dei londinesi...
«Non è inferiore, probabilmente, alle due migliori che io conosca, quelle di Wimbledon e di Newport, la Hall of Fame. Inizia, e ne sono fiero, con Scaino da Salò, il primo a scrivere un libro sul Tennis, 1555».
– Come si dice oggi riguardo a Twitter, la carriera dello Scriba in 140 battute.
«Non ho avuto una “carriera” grazie a un generoso genitore che mi ha lasciato di che vivere. Ho potuto così rifiutare tutte le occasioni avute per diventare un cosiddetto uomo importante».
La scheda
Gianni Clerici, 86 anni, di Como è considerato uno dei più grandi giornalisti sportivi all time. Lo Scriba, com’è stato ribattezzato, è la storia del tennis, tanto da meritarsi nel 2006 l'inserimento nella Hall of Fame, secondo italiano dopo Pietrangeli. Ha lavorato alla Gazzetta dello Sport, a Il Giorno e da quasi trent'anni ci delizia su Repubblica.
Ha scritto più di venti libri: l'ultimo, nel 2015, è la sua bio-eterografia “Quello del tennis”; il prossimo uscirà per Mondadori ad aprile.
Buon giocatore negli anni ‘50, ha partecipati ai tornei di Wimbledon e Roland Garros.
Lo show televisivo con Tommasi spesso era più bello delle partite
Sulla ribalta
Come si fa a non amare Gianni Clerici. Maestro di intere generazioni di giornalisti, da oltre mezzo secolo con le sue storie riempie l’anima, affascina, appassiona, insegna.
Classe 1930 con l’entusiasmo, la voglia e la curiosità di un giovane di ieri, non smetteresti mai di leggerlo e di ascoltarlo in maniera assorta. Quando si parla di Clerici o con Clerici (e il “tu” è un obbligo), non si sa da dove cominciare e quando si finirà.
Il tennis è sempre la sua vita. Un italiano famoso nel mondo, che per la bellezza dei suoi scritti è stato inserito nel 2006 nell’Arca della Gloria: romanziere, poeta, columnist, anche ex giocatore di buon livello negli anni Cinquanta.
I racconti di Gianni Clerici, per chi ama lo sport e non solo, sono dei “gioielli” di narrativa dallo stile inconfondibile. Trovi tutto: competenza, ironia, eleganza.
Ha fatto epoca lo show televisivo della coppia Clerici-Tommasi, padri fondatori della telecronaca a due voci, che molto spesso era più bello e interessante di quanto accadeva in campo. Non solo strepitosa competenza, esaustive spiegazioni, celebri divagazioni (fu proprio Rino Tommasi a soprannominarlo “Dottor Divago”), storie e statistiche mai banali, ma anche momenti divertenti come canticchiare la sigla “Bingo bongo” prima delle epiche dirette. Quanti episodi indimenticabili per il tennis, diventato anche grazie a loro “sport per tutti”.
Siamo cresciuti con le sue citazioni, gli aneddoti, le distrazioni, le intuizioni. Ha capito prima di tutti, quando erano ancora junior, l’enorme talento di Pete Sampras e Roger Federer. E Wimbledon (ma non solo) è sempre casa sua, onorato e riverito come una star sin da quando, giovanissimo, ci arrivò in auto per giocare una partita.
Ha avuto un inimitabile maestro: l’amico Gianni Brera, il mentore che ha valorizzato le sue sconfinate qualità. «Ma nonostante Brera – spiegò una volta Clerici – il giornalista sportivo è come se dovesse scontare una colpa».
E, infatti, «Lei è quello del tennis?» gli chiese cinquant’anni fa Maria Bellonci in occasione di una festa organizzata nel suo salotto per il Premio Strega. Una domanda che poi è diventato il titolo della sua biografia. E anche se nessuno meglio di Clerici ha raccontato le emozioni di questo sport, l’etichetta che lo accompagna da una vita è semplicemente una piccola parte della magistrale lezione di cultura che continua a regalarci.(p.c.)
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