– Bertolucci, cosa sta accadendo? Il dio tennis (in tutti i sensi) ha azionato la macchina del tempo?
«Si è verificato quello che, sicuramente, neppure Federer si aspettava di realizzare al suo rientro. Un clamoroso 3 su 3, giocando un tennis sublime e con una tenuta mentale strepitosa. Si può dire che il ragazzo sta maturando...»
– Grandezza pari all’umiltà, affidandosi completamente ai consigli di Ivan Ljubicic e alla sua rivoluzione: non tutti lo avrebbero fatto.
«Prima che Ivan diventasse il suo allenatore, avevamo parlato tante volte di Federer e concordavamo sul fatto che il suo tennis era ormai superato e che gli avversari avevano preso le contromisure. Per dare una svolta netta e tornare al vertice, servivano delle variazioni tecniche importanti. Quando lo svizzero lo ha chiamato come nuovo coach, Ljubicic è stato chiaro con l’amico: “Roger, io vengo di corsa, ma chiedo totale disponibilità per cambiare qualcosa nel tuo gioco”. Federer lo ha guardato e ha replicato: “Ma io giocando così ho vinto 17 Slam e qualche altro torneo”. Allora Ljubicic è stato ancora più chiaro e gli ha risposto: “Sì, ma vedrai che non ne vincerai più”. E così, dopo un 2016 difficilissimo anche a causa degli infortuni, il super campione ha capito, ha accettato la realtà, si è messo alla prova con umiltà. Per la serie: o la va o la spacca. Mi pare che abbia spaccato».
Paolo Bertolucci
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– Tecnicamente cosa è cambiato?
«Innanzitutto il rovescio che prima giocava prevalentemente in back e che ora spinge con il top, soprattutto in risposta. I risultati sono clamorosi perché spesso tira un siluro tra i piedi dell’avversario, che gli consente di aprirsi subito il campo. Inoltre ha assunto una posizione più avanzata e prende molti rischi, è aggressivo e prova sempre ad accorciare gli scambi. L’obiettivo è spendere il minimo di energie sulla corsa, per un tennis diventato rapido e molto verticale. Fondamentale anche la resa e le variazioni al servizio, da cui deve ricavare il massimo dei punti senza faticare troppo. Inoltre è sorretto da una condizione fisica eccezionale, merito del lavoro del suo storico preparatore atletico Pierre Paganini».
– Federer ha detto che gioca meglio oggi rispetto a 11 anni fa. È credibile?
«Se lo dice lui... Sicuramente il suo tennis è migliore rispetto al passato perché propone più cose. Il gioco di prima lo avrebbe potuto esprimere senza problemi sino all’età di 84 anni. Adesso, invece, ha ampliato e reso più vario il suo già enorme bagaglio ed a beneficiarne è stato il rendimento e la qualità dei risultati. A Indian Wells è stato più devastante rispetto a Miami, dove però è stato bravissimo ad adattarsi alla superficie più lenta ed al vento che spesso poteva condizionare le inimitabili traiettorie».
– Ora la lunga pausa sulla terra. Ma quando torna dal riposino, dobbiamo aspettarci un nuovo dominio?
«Il vero traguardo è rivincere Wimbledon e la sua preparazione sarà quindi finalizzata all’amata erba, con le varie tappe di avvicinamento. E non punta di sicuro al numero 1 del ranking perché dovrebbe disputare tornei che non sono nei suoi programmi. Federer ha già deciso di dosare le forze per essere molto competitivo negli eventi più importanti, come gli Slam».
– Facciamo un giochino: contro l’imbattibile Djokovic del 2015 e il solidissimo Murray della scorsa stagione questo Federer cosa avrebbe fatto?
«Considerato che nelle ultime finali Slam nelle quali si sono incontrati (e che lo svizzero ha perso contro il serbo, ndc) il divario era stato abbastanza ridotto, penso che il Federer di questo 2017 ce la farebbe ad aggiudicarsi il match. Non un dominio in lungo e in largo come abbiamo visto sinora, ma una progressiva superiorità sull’avversario».
– La sindrome-Federer non ce l’ha, quindi, solo Wawrinka, ma adesso anche l’eterno rivale Nadal, giunto alla terza sconfitta consecutiva in tre mesi.
«Lo spagnolo continua a non essere più quello di 3-4 anni fa, non è neppure all’80%. Lo si vede soprattutto dagli errori non forzati che sono aumentati notevolmente rispetto al passato. Ci stiamo abituando a vedere i suoi dritti finire a metà della rete. Non ha più la brillantezza di un tempo, è usurato perché sui campi avrà fatto almeno sette volte il giro del mondo».
– Per il bene del tennis, i clamorosi trionfi di King Roger erano proprio quello che ci voleva?
«Se prendiamo come unità di misura gli ascolti televisivi di Sky, direi proprio di sì: Federer genera il 60% dell’interesse, Nadal il 30%, gli altri insieme il 10%. Il duopolio Roger-Rafa ha segnato la clamorosa ascesa del tennis e ora che è tornato ce lo godiamo».
– Sperando anche che...
«Kyrgios, che ha grandi potenzialità, venga sostenuto dalla continuità; Zverev possa confermare i progressi; Djokovic – che secondo me non rivedremo più ai migliori livelli – ritrovi importanti motivazioni e Murray – che ha solo un problema al gomito da risolvere – riprenda il cammino che lo ha portato al numero 1. Se a loro si aggiungono il Wawrinka capace di centrare qualsiasi risultato e un Del Potro atteso al salto di qualità, il 2017 ci regalerà tanto altro divertimento».
– La stagione sul rosso è pronta a cominciare: cosa prevede Bertolucci?
«In prima fila metto sempre Nadal. Non sarà più quello di una volta, ma resta il favorito sulla terra. E, comunque, le tre finali giocate nel 2017, benché tutte perse, ci dicono che lo spagnolo ha ancora grande voglia di lasciare il segno».
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Il triplete Australian Open-Indian Wells-Miami
Primato che condivide con Sampras, Agassi e Djokovic
Miami ha rappresentato per certi versi la chiusura di una storia lunga 13 anni. Tutto cominciò nel 2004. All’epoca, al terzo turno del torneo, l’appena 17enne Nadal sorprese (6-3 6-3) il già affermato Federer, rivelandosi al mondo. La prima rivincita l’anno dopo, sempre a Key Biscayne, in finale (2-6, 6-7, 7-6, 6-3, 6-1). Gli ultimi quattro confronti di questa epopea sono stati vinti tutti dallo svizzero (compresa la finale di Basilea nel 2015), anche se il bilancio resta nettamente a favore del maiorchino (23-14). Mai in passato King Roger era riuscito a battere per più di due volte di fila il rivale.
Federer in questo fantastico 2017 può godersi il triplete Australian Open-Indian Wells-Miami che gli mancava dal 2006 e che condivide solo con Sampras, Agassi e Djokovic. Non vinceva in Florida da 11 anni, quando superò il suo attuale coach Ivan Ljubicic. Lo svizzero, nuovo numero 4 del mondo al culmine di una clamorosa risalita, ha anche conquistato il 91° torneo Atp su 139 finali disputate. Miami è il 26esimo Masters 1000 vinto in carriera, a cui aggiungere i 18 Slam. Il fantastico bilancio in questo 2017 è di 19-1: unica sconfitta a Dubai negli ottavi, sorpreso da Donskoy.
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