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A Mosul gli americani sbagliano di nuovo i conti

L' esercito prende terreno a Mosul."L'Isis usa scudi umani"

Mosul. Alfa e omega della resa dei conti col Califfo. Doveva essere il primo grande segnale che il vento era girato e che la coalizione aveva finalmente scelto la strategia giusta per chiudere la partita. Invece, proclami e buoni propositi si sono squagliati come un ghiacciolo nel microonde. E mentre i quartieri della Città Vecchia sembrano, sempre più, una versione riveduta e corretta della Stalingrado in cui Von Paulus ci lasciò le penne, con tutta la Sesta Armata della Wehrmacht, i portavoce degli alleati insistono: “L’Isis è alla frutta”. Questione di punti di vista. A Washington erano convinti che a Mosul fossero rimasti solo 400 “desesperados” fondamentalisti a sparacchiare a. casaccio. Beh, gli americani hanno sbagliato per l’ennesima volta i conti. Secondo gli informatissimi israeliani, l’ex bastione del Califfo è difeso, con le unghie e con i denti, da almeno quattromila miliziani. Che vendono carissima la pellaccia, casa per casa. Ergo: manco Nostradamus si azzarderebbe a fissare una data sicura per la liberazione. Così, “si sta/come d’autunno/sugli alberi/le foglie” avrebbe detto il sublime Ungaretti per descrivere, con struggente efficacia, lo stato d’animo che accomuna tutti: fantaccini, generali, civili in trappola e, perché no?, anche politicanti da strapazzo, che forse non rischieranno la vita, ma quel poco di faccia che gli è rimasta, quella sì. Dall’altro lato gli ex ufficiali di Saddam Hussein, che elaborano le strategie del Califfo, giocano alla guerra e la vincono per tre punti a mezzo Pentagono. Lungi dall’essere prossimo alla conclusione, il carnaio di Mosul si va cronicizzando come un immenso e immondo bubbone. Abbiamo richiamato, e non a caso, la traumatica esperienza di Stalingrado, quando gli orrori della Prima guerra mondiale si fusero con quelli della Seconda: trincee a un paio di metri, fango, topi, cadaveri in putrefazione, cecchini a ogni finestra. E, dietro ogni angolo, la morte. Che per gli islamisti “duri e puri” significa “martirio”, la porta d’accesso al loro Paradiso. L’Isis, poi, ha scelto di sforacchiare con centinaia di tunnel il sottosuolo, da dove i miliziani si muovono, appunto, come torme di ratti, comparendo e scomparendo prima di essere inghiottiti dalle tenebre. Il risultato? I danni che sono in grado di infliggere appaiono devastanti. Il governo irakeno ha una sola unità sul campo capace di tenere botta: la Iraki Gold Division. Per il resto, schiera brigate e reggimenti raccogliticci, con soldati (e soprattutto ufficiali) pronti a dileguarsi dopo il primo colpo di marmitta. Insomma, ci siamo capiti. Gli americani, analizzata la contabilità delle perdite, hanno pregato gli alleati di Baghdad di restare acquattati nell’erba. Come le quaglie. Il Califfo, grazie ai suoi suggeritori, ha dunque cambiato completamente tattica. Non più scontri frontali alla maniera di Ramadi, Tikrit o Fallujah, ma azioni di guerriglia “mordi e fuggi”, condotte da gruppi di 10-15 elementi, che si appoggiano a una catena di salmerie che li riforniscono di armi, esplosivi e auto. Da imbottire di tritolo. Così facendo, i “commandos” del Califfo riescono a seminare il terrore dietro le linee nemiche, colpendo entro un raggio di addirittura dieci chilometri dal fronte. Questa “crust mobile defense”, come viene definita dal Pentagono, sta mettendo in crisi i professoroni delle Scuole di guerra. In tal modo, affermano i sempre più costernati specialisti israeliani, un attacco che doveva concludersi in un mese rischia di durare anni. Formazione vincente non si cambia. Chimateli fessi. I “califfi”, visto come funziona il sistema, hanno deciso di esportarlo in Siria, spostando i loro alti comandi da Raqqa a Deir ez-Zor e nella Valle dell’Eufrate. La nuova “capitale mobile” dell’Isis è diventata Al-Mayadin, un villaggio isolato raggiungibile utilizzando un pugno di strade. Tutte allo scoperto. Lo Stato Islamico sta pensando di far diventare l’arteria che collega Al-Mayadin a Raqqa (170 Km.) un immenso campo minato.

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