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L’Iran torna in gioco fragorosamente nella crisi siriana

L’Iran torna in gioco fragorosamente nella crisi siriana

Una volta si cambiava a Battipaglia. Oggi, metafora delle metafore, i convogli in transito per il Medio Oriente sono obbligati a passare da Teheran. Qualunque cosa possa essersi messo in testa Donald Trump, ritaglio di moquette a parte.

Se i cervelloni della Casa Bianca e del Pentagono pensavano di fare il gioco delle tre carte con gli ayatollah, beh forse hanno sbagliato portone, come dicono a Napoli. Gli irascibili teocrati persiani, infatti, il Palazzinaro di Washington se lo mangiano a colazione, comprese le scarpe bianco-nere col tacco e le cravatte stile “broccolino”.

Semplicemente siamo in grado di confermare l’ennesimo coup de théatre che ci riserva la batracomiomachia siro-irakena: i piani di Donald Trump per rigirare la frittata delle alleanze hanno fatto la stessa fine che Paperino subisce quando cerca di rivoltare acrobaticamente le pancakes, che si attaccano regolarmente al soffitto.

Questa volta è stato il presidente Assad, padre-padrone di Damasco, a guastare la festa di Donald (Duck) Trump, voce stridula formato Disney e colorito paonazzo per gli accessi d’ira.

L’Energumeno è andato, infatti, su tutte le furie quando ha saputo la contromossa del Presidente siriano.

Con una direttiva immediatamente esecutiva, Assad ha consegnato le chiavi del conflitto nelle mani di Khamenei, autorizzando gli Alti Comandi iraniani a coordinare tutti i movimenti dei 120 mila miliziani sciiti che operano in Siria.

Ergo: chi vuole parlare di guerra (o di pace) deve prima mettersi un bel turbante sulla capa e passare dall’ufficio reclami di Teheran, sempreché lo trovi aperto. Il presidente russo Vladimir Putin lo sapeva e ha finto di tenere bordone alla Casa Bianca, nell’elaborazione del cervellotico piano “amerikano” destinato a estromettere gli ayatollah dagli scenari diplomatici mediorientali.

Al Cremlino fare fesso Donald Trump dev’essere sembrato come rubare le caramelle a un bambino. Certo, messo a confronto, Barack Obama avrebbe fatto la figura di Talleyrand.

L’effetto subitaneo di cotanta pensata degli strateghi Usa è che ora a Damasco comandano le Guardie. Rivoluzionarie di Teheran e che Assad conta quanto il due di coppe. Quando la briscola è a bastoni.

In pratica, anche per avere un permesso per tenere il gatto, è necessario parlare col generale Qassem Soleimani. Vecchia conoscenza di Obama e compare d’anello di Vladimir Vladimirovic (Putin). In sostanza, tutte le assicurazioni chieste ai russi dalla Casa Bianca sono colate a picco come un ferro da stiro.

E chi pensa che la fregatura abbia riguardato anche Mosca è fuori strada. Adesso la vera Wehrmacht siriana è quella controllata dagli ayatollah, che gestiscono un’armata sciita composta da 80 mila siriani, 25 mila afghani, 5 mila pakistani e, soprattutto, quasi 10 mila Hezbollah. In totale, per fare un’analisi comparativa, l’esercito regolare di Damasco non arriva a 70 mila uomini.

L’operazione ricorda molto da vicino quella fatta in Irak negli scorsi anni, quando le Popular Mobilization Forces, organizzate dagli iraniani, ebbero un tale successo da essere inglobate tra i governativi di Baghdad.

Non a caso, queste unità hanno avuto un ruolo di primo piano nella battaglia per Mosul.

Gli analisti israeliani pensano che Washington stia commettendo gli stessi errori di qualche anno fa, quando la sanguinosa campagna irakena si concluse con una mezza beffa: Baghdad venne riconquistata, ma finì per cadere nelle grinfie degli sciiti, comandati a bacchetta da Teheran.

Ora la storia si ripete.

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