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Ma non solo parole, per favore

Ma non solo parole, per favore

Tutti d’accordo e pronti a scendere in campo sulla lotta al terrorismo che, a pochi giorni dalla strage di Manchester, irrompe sul tavolo tra le priorità del G7 di Taormina. Ma lontani sul clima, che rischia di essere il nodo più spinoso del summit. Tra i sette, molti i volti nuovi: Paolo Gentiloni, Donald Trump, Emmanuel Macron e Theresa May sederanno per la prima volta al tavolo del club, portando cambi di rotta nelle politiche dei loro paesi. Primo tra tutti quello del presidente Usa, che sul clima sembra intenzionato a non mollare. Finora, nonostante l’appello che gli ha rivolto avantieri anche papa Francesco, ha temporeggiato. Ma appare intenzionato a restare fermo sulle posizioni della campagna elettorale: l’accordo di Parigi - come avrebbe ribadito nei suoi incontri a Roma - costa troppo. L’accordo resta invece la “linea rossa” di molti, come ricordato dall’Eliseo di Macron che, anche avantieri, ha invitato Washington a «non fare dichiarazioni precipitose», appoggiato anche da Berlino. Un nodo che sta mettendo a dura prova gli sherpa impegnati nella redazione del comunicato finale.

L’Italia non vuole strappi. Spetterà a Gentiloni, che ha riconosciuto come il «confronto non sarà semplice», tentare la mediazione. Lo farà iniziando dai temi più condivisi, come la lotta al terrorismo: «Va alzato il livello», ha ricordato. Ed è attesa una dichiarazione ad hoc, allegata al documento finale, quest’anno più “light”, meno corposo delle solite 30-40 pagine.

Ma in cima all’agenda della presidenza italiana ci sono soprattutto i migranti, da sempre un priorità per Roma con Matteo Renzi che scelse Taormina proprio per dare un segnale dell’emergenza siciliana. Il messaggio da far passare e condividere riguarda, in particolare, la Libia. Convincendo i Grandi che si tratta di un elemento di instabilità globale e non solo di una crisi regionale, da affrontare quindi tutti insieme.

Resta aperta anche la questione del commercio internazionale. Con il fronte Ue e non solo (al vertice c’è anche il Giappone di Abe) che ribadirà quel ruolo chiave del multilateralismo che mal si concilia con i venti protezionistici che spirano, almeno nelle dichiarazioni, dall’altra parte dell’oceano.

Tra un ingente schieramento di sicurezza, tante “chicche” (dal concerto della Filarmonica della Scala ad una mostra con Leonardo e “L’Ignoto Marinaio”) e qualche timore per le annunciate manifestazioni del “controvertice”, i lavori in una Taormina blindata saranno serrati. Anche sull’Africa, sia come emergenza fame e carestie che come continente d’origine delle migrazioni. Si parlerà pure della necessità di spingere crescita e lavoro e delle crisi internazionali, dalla Siria all’Ucraina, dal Medio Oriente alla penisola coreana. Passando per il ruolo delle donne. E, anche, del rapporto con Mosca. Gentiloni è stato la scorsa settimana da Putin che, scherzando, ha detto di avergli dato un messaggio “segreto” per i Grandi. L’Italia, ferma nella posizione del rispetto di Minsk per l’Ucraina, vuole tenere aperto il dialogo e certamente porrà il tema.

Tra le new entry anche Theresa May: nonostante l’emergenza per la strage di Manchester non è voluta mancare, ma oggi ripartirà con un giorno di anticipo. Ed è venuta senza il marito. Anche stavolta spetterà così al signor “Merkel” il ruolo di unico uomo nel “programma consorti”, su cui si puntano i riflettori del gossip, con l’arrivo di Melania Trump. Ma anche di Brigitte Macron, alla sua “prima” da Première Dame sulla scena internazionale. Ad accoglierle ci sarà Manuela Gentiloni per un tour tra granite e un giro in elicottero sull’Etna.

Ieri sera, intanto, il leader dei repubblicani statunitensi al Senato, Mitch McConnell, e 21 del 52 senatori del partito hanno chiesto a Donald Trump di tener fede alla promessa elettorale di uscire dall’accordo di Parigi sul clima. In una lettera alla Casa Bianca, i firmatari sostengono che altrimenti potrebbero profilarsi ricorsi legali contro l’amministrazione per la revoca delle norme ambientali dell’epoca Obama. Gran parte dei senatori rappresenta Stati che dipendono dalla possibilità di continuare a bruciare carbone, petrolio e gas.

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