Parafrasando Shakespeare, sarebbe il caso di dire “tanto rumore per nulla”. Quando Theresa May ha pensato di capitalizzare i primi favorevoli sondaggi (frutto di scarsa lungimiranza e di umorali speranze) c’era ancora l’onda lunga della Brexit. Per cui, la nuova premier inglese ha pensato bene di sfruttare il vento che soffiava a favore dello splendido isolazionismo britannico, indicendo nuove elezioni. Aveva già una buona maggioranza, ma ne cercava una ancora più grande. L’avidità, si sa, è figlia della supponenza. La leader conservatrice pensava di mettere così tutti con la testa nel sacco, dai laburisti, agli sconcertati ex partner europei.
E invece il maestrale, con un colpo di coda, si è messo a scirocco, e i laburisti, malmessi e scalcagnati, in un paio di mesi, hanno recuperato quasi 15 punti. Basteranno per vincere le elezioni di oggi, indette in fretta e furia da Madama May, copia sbiadita, confusa e chiacchierona, di quella che fu Margaret Thatcher, la Lady di Ferro, universalmente nota per i suoi attributi? Quasi sicuramente no. Ma il ritorno a una vittoria striminzita da parte dei conservatori, lascerà praticamente inalterati tutti i problemi che ribollono nel tumultuoso calderone della politica britannica.
Il programma dei Tories è un cocktail buono per tutti i palati, ma soprattutto miscelato per coloro i quali intendono vedersi il cinema senza pagare il biglietto. Si parte dalla riduzione degli ingressi dei rifugiati al di sotto dei 100mila l’anno (come, a colpi di cannone?), e da un programma economico basato su forti spinte neoisolazionistiche. E qua i conservatori inglesi possono darsi la mano con Trump. Regno Unito e Stati Uniti, insomma, sono destinati a “trionfare” assieme. O a prendere un bel muro di calcestruzzo di faccia, come noi più prosaicamente pensiamo, perché il protezionismo è un modello che finisce per incartapecorire qualsiasi sistema-paese.
Un altro capitolo riguarda il terrorismo, con inasprimenti previsti a destra e a manca. Si, risponde l’opinione pubblica, ma perché non ci si pensava prima. Chiudere ora le porta della stalla, dopo che i buoi sono scappati, suona come un’ammissione di responsabilità. Ma si sa, una fesseria chiama l’altra. E così la brutta copia della Thatcher ha pensato di risparmiare pigliandosela con i pensionati, ai quali intendeva negare l’assistenza sanitaria “free” e voleva invece fargliela pagare a seconda del reddito. Questa tassa, ribattezzata immediatamente “dementia tax”, è stata velocemente rimangiata. E adesso i Tories navigano a vista.
Altri progetti politici di grido riguardo il fisco. Aggiustamenti di aliquote e promesse di semplificazioni burocratiche appetibili, anzi luculliane, ma proprio per questo poco credibili. Si promette il diavolo e l’acqua santa e intanto si tira a campare.
Più concreto il programma laburista, anche se i socialisti britannici si portano appresso il fallimento economico che ha accompagnato molte delle loro legislature. Certo, dopo le ricette per la crescita dettate dal Fondo monetario internazionale e dalle grandi banche, che hanno quasi ammazzato l’ammalato, adesso non ci vuole la scienza dei premi Nobel per cercare di aggiustare la baracca. “Basta con l’austerità e investimenti in infrastrutture” è un mantra che possono invocare anche i bambini, ma non i gallinacci, tronfi e pieni di sé, che hanno governato le istituzioni finanziarie europee per un lungo arco di tempo. E che hanno avuto la malaugurata sorte di stare anche al potere di vari Paesi dell’Unione. Anche sulla Brexit i laburisti sono molto più ragionevoli, pensando più con la loro testa che con il petto pieno di medaglie, come fanno i nipotini di Nelson attualmente a Downing Street. Per il resto lo slogan è “più tasse sui ricconi” (chi guadagna oltre 330 mila sterline l’anno). Ampi investimenti in infrastrutture e politiche di accoglienza che prevedano quote di immigrazione completano il programma. Sullo sfondo, per tutti, si agita l’incubo Scozia. Una nazione che chiede a gran voce l’indipendenza e con la quale, primo o dopo, bisognerà fare i conti. Brexit o non Brexit.