Mettiamola in gergo boxistico: lo stanno stringendo all’angolo. Basterebbe un uppercut bene assestato e Donald Trump potrebbe anche volare fuori dal ring, scavalcando arbitro, corde e secondi e finendo in mezzo agli spettatori.
Tutto finito? Macché, a giudicare dai sondaggi il pubblico continuerebbe a suonarlo come una zampogna, scordandosi che è il Presidente degli Stati Uniti. O forse proprio perché se lo ricorda. Traduciamo dal metaforese. Trump è sotto assedio per il cosiddetto “Russiagate”, il suo presunto flirt con Putin, durante la campagna per le Presidenziali. Lui smentisce digrignando i denti, ma è questo il punto: se l’ex Direttore dell’Fbi, Comey, che lo accusa di cotanta nefandezza, riuscirà a dimostrare che l’ex Palazzinaro ha mentito spudoratamente, allora il nostro “tycoon” rischierà una procedura di impeachment. Come accadde a Nixon per il Watergate e come non è successo a Bill Clinton, che fumava sigari stravaccato coi piedi sulla scrivania dello Studio Ovale, alla presenza di Monica Lewinski. Dunque, andiamo ai numeri. Trump prima delle elezioni stava sulle scatole a metà degli americani, adesso, secondo le medie ultra-statistiche elaborate da RealClearPolitics, i 2/3 dei cittadini a stelle e strisce se lo metterebbero volentieri sotto i piedi. Ma chi lo sostiene? La borghesia medio-alta senza problemi di borsellino, i “wasp” (bianchi di origine anglosassone e protestante) assatanati contro gli immigrati, gli sceriffi “della domenica” pronti a estrarre la calibro 38 contro tutto quello che si muove, i biscazzieri finanziari, gli speculatori di borsa e gli imbroglioni in doppio petto, che sperano di continuare a campare sulle spalle dei risparmiatori, i grassi pensionati rimbambiti dai dollari, che spendono e spandono al sole della Florida, i fabbricanti d’armi, armieri, armaioli e armigeri sostenitori del vecchio sogno americano di fare “i poliziotti del mondo” e, non ce lo toglie nessuno dalla testa, anche i residuati bellici del Ku Klux Klan, con tanto di cappucci, grembiuli da barbiere e “croci di fuoco”. Ma, oltre al folclore e alla trasversalità dei pittoreschi sostenitori, Trump ha alle spalle anche i guerrafondai riuniti intorno al gruppo creato da Dick Cheney e company, cioè i super-falchi del New American Century. Quelli che, in pratica, hanno fabbricato a tavolino le prove sulle presunte armi di distruzione di massa di Saddam Hussein e hanno costretto quell’incapace di Bush-figlio a scatenare la seconda Guerra del Golfo.
Abbiamo già scritto che Trump è stretto tra due fronti: da un lato deve rintuzzare le accuse di “collusione col nemico” (Mosca), dall’altro, segretamente, continua a cercare sponde nel Cremlino per cercare di uscire dal pantano mediorientale salvando l’osso del collo. La campagna (un po’ fumosa, per la verità) promossa dall’Fbi sul “Russia-gate” e l’impegno a indagare “in tutte le direzioni” non hanno incrinato di un millimetro la sua volontà di spartirsi il sonno con compare Putin. Recentemente, in un’intervista con Fox News, si è lasciato sfuggire una dichiarazione in cui ammette che la collaborazione con la Russia per fronteggiare il terrorismo è indispensabile. Certo, il Presidente-palazzinaro deve stare in campana. Il direttore del Federal Bureau of Investigation, James Comey, fa sul serio. Non scherza. Qualcuno sospetta che stia tirando la volata a chi non vede l’ora di mettere sotto inchiesta Trump per poi defenestrarlo. Comey, insomma, starebbe costruendo un’autostrada per arrivare all’impeachement e sbarazzare gli Stati Uniti (e il mondo) di un leader pericoloso per sé e per gli altri. E l’azione “”complottarda” fa presa sull’opinione pubblica. Tra il 60 e il 70% degli americani hanno già maturato un pessimo giudizio sui primi mesi della Presidenza Trump.
Addirittura peggiori le cifre riguardanti la “wrong track”, cioè la direzione sbagliata che ha preso il Paese. Qua si arriva a punte di quasi l’80%. Insomma, quando abbiamo previsto che il Presidente non avrebbe finito il mandato, forse siamo stati buoni profeti. Vedremo.