Taormina
«Donald Trump è il simbolo della democrazia illiberale. Al G7 di Taormina Trump si è comportato da cafone, mi vergogno di essere rappresentato da un uomo così». Senza mezzi termini, il giornalista americano Alan Friedman, celebre volto sulla tv italiana – che ieri ha incontrato il pubblico di Taobuk in Piazza IX Aprile – , giudica pesantemente l’inquilino della Casa Bianca e nel suo nuovo libro, “Questa non è l’America” (Newton Compton) racconta un viaggio nel cuore degli Usa, una vera e proprio controstoria degli ultimi sessant’anni che ruota attorno ad un assunto provocatorio: «Il sogno americano è morto. Era un ideale meritocratico che ha fatto sognare intere generazioni ma oggi il Paese è spaccato, impoverito e preda del razzismo più becero».
Attraversando gli States lei lascia al lettore l’amaro in bocca fotografando una realtà talvolta desolante.
«Questa è l’America oggi e andava raccontata. Dove sono finite le opportunità per tutti? La verità è che per la maggior parte degli afroamericani, le donne e i bianchi non benestanti il sogno americano non è mai esistito, è stato solo un miraggio all’orizzonte. Una mera propaganda, e con l’arrivo di Donald Trump alla Casa Bianca anche questa utopia finirà. L’ironia è che lui promette “Make America Great Again” e invece il Paese è già in ginocchio e il divario sociale cresce a dismisura».
John Kennedy conquistò tutti dicendo «Ich bin ein Berliner» a Berlino Ovest. Era il 26 giugno 1963. Abbiamo fatto passi indietro a livello di comunicazione politica?
«Moltissimi. L’America dei Kennedy era una patria piena di ideali, che puntava sugli immigrati, sul melting pot culturale e i valori civili. Era il baluardo dell’Occidente. Oggi Trump ha esplicitamente annunciato che i diritti umani non contano più in politica estera, si è ritirato dagli accordi di Parigi sul clima e vuole costruire muri al confine con il Messico. Mi dispiace dirlo, ma, uno alla volta, Trump sta smantellando i pilastri che hanno tenuto questo ordine mondiale per settant’anni».
Ogni leader rappresenta una spinta, una tensione nella società. Cosa rappresenta oggi Donald Trump?
«Lui è il simbolo della democrazia illiberale, in cui si attacca la stampa libera, c’è meno giustizia e rispetto per le minoranze. Trump esalta Erdogan e Putin, non è questa l’America che può farci sognare, che può guidare il mondo libero».
Trump ha puntato sui social e una comunicazione aggressiva, facendo perno sulle fake news per influenzare l’elettorato. Come ci si può difendere dall’uso distorto della comunicazione?
«In ogni democrazia il voto del popolo è sovrano ma i giornalisti e le persone oneste hanno il dovere di denunciare questo progressivo scivolare verso un regime autoritario e liberticida».
La presidenza Trump ha solo aspetti negativi a suo avviso?
«Non del tutto. Dobbiamo resistere, certo, ma è anche una scossa che costringerà il giornalismo libero e responsabile, come quello che inchiodò Nixon per il Watergate, a farsi avanti, a dare fastidio. Sta già accadendo, con una nuova epoca d’oro per Washington Post e il New York Times».
E l’Europa?
«Anche qui c’è un effetto paradosso. Trump detesta e attacca a viso aperto il Vecchio Continente. Al G7 di Taormina si è comportato da vero e proprio cafone e mi vergogno d’essere rappresentato da un uomo così. Ma proprio il suo atteggiamento sprezzante potrebbe costringere l’Europa a rinsaldarsi, conferendo più potere alla Merkel e a Macron per giungere alle riforme necessarie per far ripartire l’economia».
Gli scandali del Russiagate potrebbero portare all’impeachment?
«Credo sia difficile in virtù degli equilibri al Congresso, oggi in mano ai repubblicani. Tuttavia se lui continuasse ad attaccare i magistrati, provando a delegittimare l’indagine e i media, tutto potrebbe accadere. La verità è che Trump crede d’essere al di sopra della legge e ciò è molto pericoloso».
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