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Vadi, ragionier Fantozzi, vadi

Vadi, ragionier Fantozzi, vadi

Je suis Fantozzi: avrebbe potuto essere lo slogan di tutti noi, che siamo cresciuti guardando – rapiti – le gesta del ragionier Ugo, di professione impiegato, anzi capro espiatorio, metafora viva dell’omino schiacciato nell’ingranaggio aziendale, del quale l’autore e l’attore Paolo Villaggio aveva saputo trovare la narrazione e rappresentazione perfetta.
Mite ma solo per vigliaccheria, sconfitto per definizione, umiliato per destino, il ragionier Fantozzi (e il suo immediato predecessore nella scala evolutiva, anche lui ragioniere, Giandomenico Fracchia) è stato una maschera comica assoluta e nitida, che resta inossidabile, anche se il mondo da cui nasceva, e che aveva contribuito a narrare, sia pure con uno sguardo spiazzante e persino distopico, ormai – nel mondo del lavoro assieme globalizzato e precarizzato – è del tutto dissolto.
Rovesciava le nostre certezze di allora (dell’Italia uscita fresca fresca dal boom e il cui terziario era in piena espansione) il ragionier Fantozzi, ma solo per confermarne la solidità: il posto fisso, lo stipendio garantito, la routine aziendale coi suoi riti sacrificali e le sue maschere da neocommedia dell’arte (la pseudobellona de noantri, il capufficio sadico, il collega rampante, il collega demente). Ma anche, in fondo – e malgrado la scoperta, allora alquanto recente, dell’ “ascensore sociale” – il veteroclassismo, e la nascente volgarità d’una massa che cominciava a sognarsi “promossa” e finalmente ammessa alle cene delle contesse Serbelloni Mazzanti Viendalmare.
L’italiano medio è stato (anche) un Fantozzi, che ne ha letteralmente incarnato – con la sua fisicità goffa e molliccia, eppure di sostanza indistruttibile (come i personaggi dei cartoon, che prendono colpi micidiali e si rialzano sempre), “i diti che s’intrecciano”, i bisogni, le emissioni e i fluidi che tiranneggiano – l’umanità, donando, in fondo, alla sua rappresentazione una sfumatura tragica e assieme una sorta di assurda, violenta carica liberatoria e persino catartica.
Oggi, nell’Italia del “jobs act”, il mondo “fantozziano” (e sono pochi i personaggi e gli autori che sono riusciti a diventare un aggettivo, proprio come “felliniano” o “kafkiano”) non esiste più. Con Paolo Villaggio è scomparso, ieri, anche il ragionier Ugo Fantozzi, l’ultimo impiegato italiano con contratto a tempo indeterminato (con scatti, ferie garantite e quattordicesima), che viveva in una specie di girone infernale, ma sapeva esattamente quando sarebbe andato in pensione. La Fornero era di là da venire. E allora ci faceva paura solo il MegaDirettore Galattico. Che ingenui che eravamo.

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