La sentenza che Bruno Contrada attendeva da 25 anni è arrivata di notte. Il suo avvocato, Stefano Giordano, ha saputo solo in mattinata che il suo impegno di due anni era stato riconosciuto. La Cassazione gli ha dato ragione disponendo la revoca della condanna con cui dieci anni fa, dopo cinque processi, e molti altri ne sarebbero seguiti, l’ex numero due del Sisde era stato riconosciuto colpevole del reato di concorso esterno in associazione mafiosa e punito con 10 anni di reclusione.
La pena Contrada l’ha scontata per intero, ma non si è mai rassegnato. Dopo un tentativo di revisione dichiarato inammissibile, attraverso Giordano si è rivolto alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo di Strasburgo. Due anni fa i giudici, con una sentenza che ha fatto discutere hanno condannato l’Italia a risarcire il funzionario, nel frattempo radiato dalla polizia, sostenendo che non andava processato né condannato. Perché il reato di concorso in associazione mafiosa ha assunto una dimensione chiara e precisa solo con la sentenza Demitry, del 1994. E Contrada era finito davanti ai giudici per fatti precedenti a quella data.
Uno spunto, quello della pronuncia della Cedu, che Giordano ha usato per chiedere, tramite un incidente di esecuzione, la revoca della condanna. Ma la Corte d’appello di Palermo giudicò il reato inammissibile e la partita sembrava chiusa. Fino a ieri quando la Cassazione ha annullato senza rinvio la decisione dell’appello revocando la condanna e privando il verdetto della eseguibilità e degli effetti penali. Come l’interdizione dai pubblici uffici.
«Non ho mai commesso i fatti che mi sono stati contestati», ha commentato Contrada. «Come dissi dopo la condanna di primo grado – ha aggiunto – se fossi stato colpevole certo dieci anni di galera non sarebbero stati sufficienti. Mi avrebbero dovuto fucilare alle spalle per alto tradimento. Non odio nessuno – ha detto ancora – per i miei accusatori ho solo disprezzo. Se li incontrassi cambierei semplicemente marciapiede». «Giustizia è fatta», ha commentato l ‘avvocato Giordano che chiederà il reintegro di Contrada in polizia e la restituzione di anni di pensione sospesa. «A un servitore fedele dello Stato è stata restituita la dignità», ha aggiunto.
Ma la sentenza, di cui ancora non si conoscono le motivazioni, rischia di costituire un precedente rilevante anche per altri casi: come quello di Marcello Dell’Utri, condannato a 7 anni per lo stesso reato, anche lui per fatti precedenti al 1994. E quello di Ignazio D’Antone, che con Contrada ha condiviso destino professionale - erano entrambi alla Mobile guidata da Boris Giuliano, poi ucciso dalla mafia - e processuale. Anche D’Antone fu condannato per concorso esterno per fatti precedenti al 1994 a 10 anni.
«I fatti rimangono fatti, i rapporti di grave collusione con la mafia rimangono accertati nella loro esistenza e gravità. Già questo rende merito al lavoro della procura di Palermo e dei giudici che li hanno accertati», commenta l’ex pm di Palermo Nino Di Matteo, ora alla Dna.
«Di fatto con questa sentenza – precisa l’avvocato – il mio cliente è incensurato perché tutti gli effetti penali della condanna sono stati revocati».
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