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Lo sguardo di Mack Smith sull’Italia e la storia “scritta dai vincitori”

Lo sguardo di Mack Smith sull’Italia e la storia “scritta dai vincitori”

Fu al grande convegno di storia contemporanea sulla Nuova destra in Europa, organizzato alla fine degli Anni 90’ dalla Fondazione Bonino-Pulejo e dal British Council, che finalmente riuscii a fare una lunga discussione con Denis Mack Smith. Lo avevo incontrato un paio di volte, a Oxford e a Cambridge, in occasione di alcune conferenze, non riuscendo mai però a parlargli a quattr’occhi per chiedergli quello che mi portavo dentro da un pezzo. Mi ero laureato con una tesi sull’economia fascista, grazie soprattutto ai suggerimenti di un nostro grande storico, Renzo De Felice. I consigli del prestigioso autore dell’imponente biografia su Mussolini, che all’epoca aveva fatto grande “struscio”, in effetti si erano rivelati determinanti. Non tanto e non solo per la sua visione, diciamo “innovativa” del Ventennio, quanto piuttosto per le straordinarie “imbeccate” sul reperimento dei documenti, necessari a interpretare un periodo della nostra storia fin troppo “inflazionato”.

Nel senso che, spesso, si è scritto più citando i pareri degli altri che andando a leggere di persona i documenti ufficiosi e ufficiali. Nessuna polemica, per carità. Resta intatta e senza appelli la condanna per uno sciagurato periodo che ha congelato la democrazia nel nostro Paese e che, in un certo senso, ha causato la sua crescita “schizofrenica” nel dopoguerra. “Regalandoci” (sembra un controsenso) per un lungo periodo una delle sinistre più “giurassiche” e meno riformiste d’Europa.

Abbiamo dovuto aspettare lunghi anni per avere una sinistra che fosse erede degnissima del pensiero progressista e democratico, elaborato da intellettuali raffinati, onesti e lungimiranti. Per questo ci siamo dovuti “beccare” la “balena” democristiana (con tanto di fauna ittica assortita, a cominciare dagli squali bianchi) con tutti gli annessi e connessi. Nessun bipolarismo perfetto (o quasi), nessuna “società aperta” come ipotizzava Karl Popper, nessun pendolo del consenso che spostasse l’asse del Paese, a seconda delle congiunture e dei periodi di crisi, dal liberismo al laburismo. Una democrazia incompiuta, quindi, di cui dobbiamo “ringraziare” le paranoie della storia e anche quelle della geopolitica, se è vero che fino alla caduta del muro di Berlino, il nostro destino è stato quello di essere la Bulgaria dell’Europa occidentale, al di qua del “Limes”. E qui mi fermo.

Si diceva del convegno (una delle prime Taormina Conference) in cui ebbi modo di chiacchierare approfonditamente con Mack Smith. Un signore distinto, molto misurato, più giornalista e divulgatore che vero storico di professione. I miei maestri di Metodologia della ricerca storica avrebbero detto che per lui l’euristica e l’ermeneutica erano, forse, un’inutile perdita di tempo. Bastava il giudizio dato in precedenza da legioni di analisti assortiti, per seppellire di contumelie il fascismo con tutta l’Italia. Giusto, ce lo siamo meritato. Ma, come diceva quello che in qualche modo considero un punto di riferimento indispensabile della mia formazione culturale, Renzo De Felice, la storia la scrive chi vince. E non sempre dice tutta la verità.

Con Mack Smith avemmo, a un certo punto, uno scambio di vedute abbastanza animato (è un eufemismo), ovviamente non sulla condanna assoluta e senza riserve del fascismo, quanto piuttosto sulla politica estera degli anni ’30. Di Mussolini e dell’Inghilterra, definita, non a caso, la “Perfida Albione”. In particolare, lo storico inglese, svicolò quando si discusse della palese contraddizione tra la Conferenza di Stresa (anti-Hitler) voluta dall’Italia e la contemporanea preparazione (vero fulmine a ciel sereno) del Trattato navale anglo-tedesco, studiato e definito nei minimi dettagli mentre si cercava disperatamente di creare un fronte comune per arginare l’aggressività dell’imbianchino nazista. Nessun accordo anche sui preparativi diplomatici della nostra maldestra spedizione in Abissinia, voluta dal duce, con tronfia strafottenza, per sanare la ferita ancora aperta di Adua. Un boomerang terribile (come quello delle infami leggi razziali), che costò al nostro Paese un prezzo altissimo, a cominciare da un rovesciamento delle alleanze che ancora avrebbe potuto essere scongiurato, evitandoci la disgrazia di una guerra devastante.

Ma da quest’orecchio il grande Mack Smith non ci sentiva. Per lui, quello che aveva scritto Churchill nella sua Storia della seconda guerra mondiale era vangelo. Comunque, ho il ricordo di una persona molto affabile, elegante, forse un poco snob, ma sicuramente affascinata dal nostro Paese e dalla sua storia. In fondo, al di là di diversi (e diffusi) aspri giudizi espressi nei suoi godibilissimi pamphlet, Denis Mack Smith amava andare alla riscoperta di un’Italia, come quella del Risorgimento, da cui era attratto. Per questo gli “perdoniamo” senz’altro, anzi, consideriamo “licenza interpretativa,” alcune pagine da lui scritte sugli eventi che ci toccano più dolorosamente da vicino. In fondo, a nostro giudizio, vale sempre il punto di vista di Renzo De Felice: “La storia la scrive chi vince”. E anche se non sempre rende conto e ragione dei fatti veramente accaduti, resta uno strumento insostituibile per riscoprire le nostre origini. Pur se, a volte, ci pesano maledettamente.

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