Tira tu che tiro io e la corda si va spezzando. La crisi nordcoreana, una specie di “monumento nazionale” della diplomazia mondiale per quanto è vecchia, sembra giunta a un “punto del non ritorno”. Era inevitabile. Il problema non era rappresentato solo dalle bombe atomiche che la dinastia dei Kim andava collezionando, quanto piuttosto dalla possibilità di farle esplodere sulla testa degli americani. E qui ancora ce ne correva. Sino a quando rischiavano di essere “vaporizzati” solo i sudcoreani e i giapponesi, vittime della politica delirante di Pyongyang …transeat.
A Washington avrebbero messo una bandiera a mezz’asta, speso qualche lacrima e spedito la Terza flotta a fare carne di porco di quel che resta della Corea del Nord, dopo settant’anni di comunismo “di guerra”, che farebbe sembrare anche Trotzki il bardo dei liberisti. Ma ora no. Specie dopo che Kim-Jong-Un, il pazzo di turno in servizio permanente effettivo ai vertici della penisola più blindata del mondo, è uscito dal seminato. Kim ha testato missili intercontinentali, capaci, prima o dopo, di oscurare, come le frecce persiane alle Termopili, i cieli della California. Apriti cielo.
Trump, che sarà palazzinaro, ma che proprio per questo sa contare almeno i sacchi di cemento, ha fatto dire al suo consigliere per la Sicurezza nazionale, McMaster, che la misura è colma e che gli ordini Stati Uniti sono pronti a scatenare una guerra preventiva contro Pyongyang, costi quel che costi (soprattutto a Seul e ai giapponesi, ribadiamo noi).
Avevamo scritto che il pargoletto nordcoreano sa che fabbricare bombe atomiche è un business di quelli lucrosi. «L’importante è non lanciarle, ma solo minacciare di farlo. Il vero salto di qualità per Pyongyang sarà costruire un missile in grado di arrivare fino in California. Nella Corea del Nord muoiono dalla fame, ma potrebbero riuscirci presto. E, in quel caso, siamo sicuri che il ritaglio di moquette che Trump si porta in testa cambierà colore: di dollari ce ne vorranno assai per tenere a cuccia un rottweiler come Kim, pronto ad azzannare tutto ciò che si muove. A cominciare dai suoi ex padroni cinesi».
Beh…. detto fatto. Oggi siamo al quid. L’unica speranza è che russi e cinesi collaborino nella stretta applicazione delle sanzioni precipitosamente approvate dall’Onu. Ma solo per scansare, a loro volta, prevedibili ritorsioni economiche. La lite, si sa, è sempre per la coperta.
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