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Ma chi rimarrà a fare la politica estera americana?

Ma chi rimarrà a fare la politica estera americana?

Alla Casa Bianca ormai non passa giorno senza che piovano calcinacci. In senso metaforico, è ovvio. Ma fino a un certo punto. Perché il polverone che si solleva da cotante continue cadute, va trasformando l’augusto palazzo in uno di quegli edifici che stanno in piedi per miracolo dei santi. Nell’attesa che qualcuno gli assesti la calcagnata definitiva. Non parliamo di tubi che perdono, di soffitti umidi e ammuffiti o di muri scrostati, ma ci riferiamo più semplicemente all’amministrazione Trump, che sembra diventata come un tram di San Francisco, dove si scende e si sale al volo, senza che nessuno quasi se ne accorga.

Questa volta è toccato a Sebastian Gorka, “U.S. President deputy assistant and adviser”, un titolo lungo un chilometro per significare che era un personaggio importante e che i suoi “consigli” espressi nello Studio Ovale contavano molto.

Beh, Gorka, com’è capitato prima di lui a un altro battaglione di “vip” che Trump aveva scelto per farsi aiutare nel governo del più importante Paese del mondo, si è dimesso. O, per essere più precisi, lo “hanno dimesso”. Velenosi spifferi di corridoio parlano di un decisivo intervento di John Kelly, l’ex generale che è capo dello staff del presidente e che non si fa posare la classica mosca sul naso.

Nel caso specifico, Gorka avrebbe pagato per le sue pesanti critiche rivolte a ruota libera nei confronti di Rex Tillerson, il segretario di Stato. Che evidentemente non gode di grande prestigio manco tra le mura domestiche. In particolare, Gorka si sarebbe spinto fino a definire “insensate” le strategie di Tillerson (e, per la proprietà transitiva, di Trump) verso la Corea del Nord. Ma dove sta il problema per noi, poveri e ignari mortali che sopravviviamo a più di 5 mila chilometri di distanza? Per essere chiari, l’evento conferma l’allarme (che ormai si taglia col coltello tra gli alleati) sulla congruità e sull’autorevolezza della politica estera di Trump. Che cambia “superburocrati” ed esperti ogni mattina, come se fossero cravatte. Che affidabilità, infatti, può avere una linea diplomatica che è frutto di continui duelli rusticani e di quotidiane risse da cortile? Nessuna.

E infatti facciamo il conto di quanti pigliano sul serio le sbruffonate del presidente e le sue prese di posizione sulle crisi che affliggono il pianeta: pochissimi. Di certo non il nordcoreano Kim, che continua a sparare missili come se fossero mortaretti di carnevale. Gorka, secondo altre fonti, avrebbe cestinato anche le dichiarazioni del presidente sull’Afghanistan, giudicandole in contrasto rispetto alle premesse della campagna elettorale, che erano quelle di tirarsi le carte al petto, non spendere più un dollaro “per la sicurezza degli altri “ e fare cuocere il mondo nel suo brodo. Isolazionismo? Certo, e di quelli che non ammettono repliche. La matassa, però, si è ingarbugliata anche perché Trump, che ne fa una al giorno, è ormai sotto scopa, assediato dall’opinione pubblica, dai mass media e, per giunta, minacciato apertamente di impeachment. Per i politologi americani, insomma, il Presidente è una “lame-duck” (un’anatra zoppa) costretta a zompare di qua e di là per scansare i cacciatori. Che sparano a pallettoni. For the record, riproponiamo la lista delle vittime illustri fatte da Trump negli ultimi mesi (suo malgrado), partendo dalla fine: Steve Bannon, Chief strategist (18 agosto); Anthony Scaramucci, Communications director (31 luglio); Reince Priebus, Chief of staff (28 luglio); Sean Spicer, Press secretary (21 luglio); Mike Dubke, Communications director (30 maggio); Michael Flynn; National security adviser (14 febbraio). E, tanto per non farci mancare niente, le inquietudini sulle capacità dell’attuale presidenza Usa di trattare con saggezza e coerenza i guai del pianeta, aumentano leggendo la lettera (pro forma) di dimissioni di Gorka. Il quale, in parole povere, accusa Trump di avere tradito il suo programma “Mega” e di essersi sbracato davanti allo tsunami di critiche che rischia di travolgerlo. Brutte nuove, insomma. Per tutti.

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