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Siria, i curdi hanno conquistato il centro di Raqqa

Siria, i curdi hanno conquistato il centro di Raqqa

La “città vecchia” di Raqqa, cuore della capitale delll’Isis, è caduta. Ieri i miliziani delle SDF, le Syrian Democratic Forces addestrate e organizzate dagli americani, e costituite da elementi curdi e arabi, ne hanno preso il controllo, liquidando le ultime resistenze degli uomini del Califfo. La notizia (ancora non confermata da Washington) è stata data dal portavoce del gruppo, Talai Sello e riportata dalle agenzie di stampa “Kurdpress” e “Rudaw”.

Secondo gli analisti, i ribelli anti-Isis, grazie anche ai bombardamenti Usa, controllano oltre il 65% di Raqqa, mentre i jihadisti si sarebbero ormai arroccati nel quartiere ovest, difendendolo casa per casa. Che Raqqa abbia ormai i giorni contati è testimoniato dallo stesso inviato dell’Onu, Staffan de Mistura, il quale ha ribadito che anche l’altro caposaldo del Califfo, Deir ez-Zour, assaltato da russi e iraniani, dovrebbe essere occupato entro la fine del mese.

Intanto, il “Syrian Observatory for Human Rights” riporta che i civili di Raqqa residenti nelle aree controllate dal Califfo sarebbero allo stremo, senza viveri, acqua e medicine. A rischio di morte, a Raqqa, però, ci sarebbero oltre 20 mila persone (fonte UNHRC Onu). Tra le altre cose, le bombe della coalizione Usa non fanno distinzione tra amici e nemici.

Anche perché i civili vengono usati come scudi umani dai miliziani jihadisti. Le vittime innocenti causate ufficialmente dall’Us Air Force nella guerra siro-irakena sono finora 685. Altri osservatori indipendenti (come “Airwars”) parlano, in totale, di oltre 5 mila morti.

Un’altra grana umanitaria, però, coinvolge gli americani. Nel deserto siriano arranca un convoglio formato da 17 autobus carichi di miliziani e loro familiari (tra cui donne e bambini) dell’Isis. Glieli hanno forniti gli iraniani ed Hezbollah, come clausola per la resa, dopo che i combattenti del Califfato sono stati sconfitti a Quneitra, ai piedi del Golan.

Lo strano trattato prevedeva che i jihadisti superstiti (almeno 300) abbandonassero la regione e si trasferissero a est (per combattere i ribelli pro-Usa, aggiungiamo noi), verso l’Irak, dove sarebbero stati liberi di sparpagliarsi. Saputa la notizia Trump si è imbufalito.

Ha dato ordine di bombardare tutti i veicoli che si avvicinano al convoglio (anche se per ora i “califfi” in ritirata con le loro famiglie non sono stati colpiti) nell’attesa di decidere cosa fare. In primis è stato distrutto un ponte, per impedirne l’attraversamento. Uguale sorte hanno subito le strade che gli autobus carichi di miliziani dovrebbero percorrere. L’inviato speciale americano incaricato di supervisionare la guerra all’Isis, Brett McGurk, ha detto che i terroristi si uccidono sul campo e non si scarrozzano per la Siria fino all’Irak, come se fossero in gita-premio. La furia di Trump si è anche riversata sul governo libanese, ritenuto colpevole di avere favorito tutta la strampalata operazione. Il Presidente, infatti, ha bloccato il trasferimento a Beirut di 50 blindati nuovi di zecca. E i russi? Fanno i fatti. Hanno attaccato con gli elicotteri le forze del Califfo nella Siria centrale, esattamente a Uqairabat, consentendo che l’importante villaggio fosse conquistato da pasdaran iraniani e unità di Hezbollah. Ora controllano così non solo l’accesso al nodo strategico di al-Salamiya, ma anche la superstrada che da Homs porta ad Aleppo. Secondo fonti dell’intelligence israeliana, il prossimo obiettivo della coalizione curda, invece, è Hawija, città a 55 chilometri da Kirkuk, fondamentale centro petrolifero. Anche in questo caso, però, gli attaccanti si presentano profondamente divisi fra di loro e c’è il rischio, dicono gli stessi leader curdi a Irbil, che conquistata la roccaforte i vincitori poi si scannino tra di loro.

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