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Mammografia salva vita, ma al Sud la fa solo 1 donna su 5

Mammografia salva vita, ma al Sud la fa solo 1 donna su 5

La mammografia può salvare la vita riducendo in modo significativo la mortalità per cancro al seno, ma sono ancora troppe le donne italiane che non aderiscono al test: al sud solo una su 5, infatti, effettua l'esame. Dal congresso della Società europea di oncologia (Esco) a Madrid, gli oncologi lanciano un appello: "Se la malattia è identificata in fase precoce le guarigioni superano il 90%, per questo è fondamentale aderire allo screening mammografico, che andrebbe esteso fino ai 74 anni". Nel 2015 circa 3.162.000 italiane sono state invitate a eseguire la mammografia, ma solo il 55% ha aderito (1.728mila). Preoccupa in particolare la differenza fra Nord (63%), Centro (56%) e Sud (36%). Lo screening nelle donne dai 50 ai 69 anni "ha contribuito in maniera determinante a ridurre la mortalità per cancro del seno nell’ultimo ventennio, con una diminuzione costante e statisticamente significativa (-1,9% anno) – spiega Stefania Gori, presidente eletto AIOM (Associazione Italiana di Oncologia Medica) -. E il test, attualmente raccomandato con cadenza biennale alle donne fra i 50 e i 69 anni, dovrebbe essere esteso fino a 74 anni. Oggi solo alcune Regioni tra cui Emilia-Romagna e Piemonte hanno ampliato in maniera strutturata la fascia d’età da coinvolgere nei programmi di screening". Nel 2015 il numero di donne invitate a eseguire l’esame è aumentato di quasi il 14% rispetto all’anno precedente. E i risultati evidenziano che grazie a questo test nel 2012-13 sono stati identificati più di 13.000 carcinomi. Nel 2016 sono stati stimati in Italia "circa 50.200 nuovi casi di tumore del seno e 692.955 donne vivono dopo la diagnosi – rileva Gori -. L’innovazione prodotta dalla ricerca ha permesso di raggiungere risultati importanti. Oggi l’87% delle persone colpite da questa malattia nel nostro Paese guarisce, una percentuale superiore alla media europea (81,8%) e se si interviene ai primissimi stadi, le guarigioni superano il 90%". Le evidenze scientifiche, sottolinea inoltre l'oncologa, dimostrano che nelle donne ad alto rischio per importante storia familiare o perché portatrici della mutazione di un particolare gene, BRCA1 o BRCA-2, i controlli dovrebbero iniziare a 25 anni d’età seguendo protocolli diagnostici ben precisi. Fortunatamente, precisa, "questi sono però casi particolari, perché la maggior parte delle diagnosi di tumore del seno sotto i 50 anni non è legata a fattori ereditari". Oggi è anche migliorata la durata della sopravvivenza nelle pazienti con patologia in stadio avanzato. Quanto alle prospettive, "il futuro sarà sempre più rivolto alla personalizzazione delle terapie per colpire la singola neoplasia del singolo paziente. È ormai infatti improprio parlare di tumore del seno: si deve utilizzare il plurale, perché le differenze biologiche sono tali da configurare vere e proprie patologie diverse, ma oggi si stanno aprendo prospettive importanti - conclude l'esperta - anche grazie all’immuno-oncologia che ha già dimostrato di essere efficace nel melanoma, nel tumore del polmone e del rene stimolando il sistema immunitario contro le cellule malate".

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