Costantemente all’attacco sul fronte del terrore, l’Isis è ormai allo stremo sul campo di battaglia. L’ultima sua vera roccaforte in Siria, quella di Deir el-Zour, è definitivamente caduta in seguito alla violenta offensiva dei governativi di Assad, protrattasi per lunghi mesi, dopo uno stallo durato tre anni. Una parte fondamentale nel successo, come riconosce lo stesso trionfalistico “bollettino della vittoria” di Damasco, l’hanno avuta gli alleati (Guardie rivoluzionarie iraniane, Hezbollah e, soprattutto, i russi). La città, sulla sponda occidentale dell’Eufrate, era praticamente spaccata in due: da un lato le forze del Califfato e dall’altro la composita coalizione del Presidente Assad. I governativi hanno prima rotto l’assedio che li stava strangolando e poi, sostenuti massicciamente dall’aviazione di Vladimir Putin, sono partiti al contrattacco, ingaggiando una violentissima battaglia, combattuta casa per casa sullo stile di Stalingrado nel ’43, quando le divisioni del Maresciallo Zukov prima contennero e poi schiantarono, chiudendola in una sacca, l’intera Sesta armata tedesca di Von Paulus.
Con la completa sconfitta di Deir el-Zour il Califfo perde l’ultima città importante che controllava e le sue milizie, in rotta, si vedono bloccata anche la via di fuga verso l’Irak, da dove avanzano, a tenaglia, le unità dell’esercito di Baghad e quelle alleate dei guerriglieri sciiti, che risalgono verso nord dopo la presa di Mosul. Così, ora l’Isis si trova stretto come una sottiiletta a ridosso del confine siro-irakeno, nella fascia semispopolata (ma ricca di petrolio) compresa tra Deir el-Zour e Qaim. In questa fase, però, gli uomini di Assad devono continuare a tenere quattro occhi aperti mentre occupano le nuove posizioni: i jihadisti, infatti, prima di ritirarsi hanno disseminato le rovine dei quartieri che difendevano di mine antiuomo e di micidiali trappole esplosive. Adesso le forze di Damasco si spingeranno verso il confine irakeno, per conquistare il piccolo centro di Boukamal e completare il controllo dell’intera provincia di Deir el-Zour, considerata il vero serbatoio petrolifero siriano. Oltre che un colpo psicologico devastante per l’Isis, infatti, la perdita di questa regione rappresenta il deprofundis per le possibilità del Califfo di fare cassa attraverso il contrabbando di greggio.
Intanto, Bashar al-Assad approfitta del successo per farsi un po’di pubblicità. La sua agenzia ufficiale di stampa, la “Sana”, ha “postato” sul web un video in cui si vedono le fasi finali della battaglia, con i tanks governativi (di fabbricazione russa) che prendono a cannonate e distruggono le posizioni delle milizie islamiche nei quartieri di Jamiyat e Jabiliyeh. Il problema nell’immediato futuro, però, è un altro, e tiene sulle spine gli Alti comandi di entrambe le superpotenze, Russia e Stati Uniti, coinvolte fino al collo nel conflitto. Che fine faranno i jihadisti scappati ai quattro angoli del deserto siriano? Gli specialisti temono che, senza più un territorio da difendere in maniera convenzionale, i soldati di “Daesh” (nome arabo dell’Isis) finiscano per darsi alla guerriglia, continuando a rappresentare una spina nel fianco per tutti, anche in Irak.
Armati fino ai denti, questi cani sciolti potrebbero riorganizzarsi in piccoli gruppi di “commandos”, pronti ad attaccare installazioni militari, civili, infrastrutture energetiche e di trasporto, dando così il via a una lunga e intensa campagna di logoramento. Gestire una simile “guerra d’attrito” costerebbe, ai russi e agli americani, sia uomini che mezzi, costringendoli a bruciare un pozzo senza fondo di risorse. Per questo al Cremlino e alla Casa Bianca nessuno ancora canta vittoria. Ognuno si aspetta un colpo di coda dei “califfi”, che stanno rapidamente cambiando la loro strategia in corso d’opera: guerriglia ”di logoramento” sul campo di battaglia mediorientale e sanguinosi attacchi terroristici in Europa e negli Stati Uniti. Una miscela “esplosiva”. In tutti i sensi.
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