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Confermato: Putin e Trump
vanno d’amore e d’accordo

G20, l’unico straccio di risultato è la tregua in Siria

Se la Corea del Nord ha trasformato i sonni di Donald Trump in una lunga notte di Halloween, almeno il Medio Oriente sembra dargli una tregua. Grazie al suo vecchio “compare d’anello”, al secolo Vladimir Vladimirovich Putin. Il quale, per carità, “amico” lo è, ma fesso proprio no: il leader della Santa Russia gioca una partita tutta sua e l’ex palazzinaro piovuto inaspettatamente alla Casa Bianca gli è utile. Anche se altri nuvoloni neri come la pece si vanno addensando sul Libano, dopo le dimissioni del premier Hariri, che si è rifugiato a Riad per sfuggire, probabilmente, alla vendetta degli sciiti di Hezbollah. Proprio il Libano potrebbe diventare il prossimo campo di battaglia tra i sauditi e l’Iran. Per questo tutti, a cominciare dagli americani, chiedono a Riad di non intromettersi negli affari libanesi.

Tornando all’incontro con Putin, Trump non ha fatto altro che continuare, alla grande, l’opera che era già stata inaugurata da Barack Obama, che in una notte rovesciò le alleanze riabbracciando gli ayatollah e tutta la compagnia di processione che stava dietro di loro, da Assad a Hezbollah, per finire col più importante di tutti. La Russia. Ma Trump non è Obama e in molti (anche nel suo stesso partito) non vedono l’ora di toglierselo dai piedi. Per cui, il feeling col Cremlino viene demonizzato oltre misura, e si comincia già a sentire puzza di bruciato, cioè di “impeachment”. Ecco spiegato perché l’accordo sulla Siria (che già c’era), ribadito al vertice Apec di Da Nang (Vietnam), è stato strombazzato ai quattro cantoni da Putin, mentre la Casa Bianca taceva o minimizzava.

Il colloquio tra i due “big”, in effetti, è sembrato alquanto informale, dal momento che “The Odd Couple” (cioè la “Strana Coppia”, monumento cinematografico della commedia americana, con Jack Lemmon e Walter Matthau) passeggiava e chiacchierava amabilmente, come se si stesse parlando del meteo e non di una guerra terrificante, un carnaio che ha già causato oltre 250 mila morti. Profilo basso e politica della quaglia, insomma, per evitare che l’Fbi e i grandi inquisitori guastino a Trump il “Giorno del Ringraziamento” e gli facciano andare il tacchino di traverso. Ma Putin gioca con un’altra maglietta, e cosi anziché fare la quaglia ha fatto l’aquila.

Anzi, l’avvoltoio, per rendere meglio l’idea. Il feeling di amorosi sensi tra le due diplomazie avrebbe dovuto restare a pelo d’acqua, perché nessuno a Washington ci ricamasse sopra. E invece il Cremlino si è sparato tutto con un comunicato ufficiale, a cui mancavano solo le lampadine al neon per essere più visibile. Dunque, i russi (indirettamente) hanno fatto sapere al mondo (e all’Fbi) che non si è trattato di un incontro casuale, come quando due si vedono e parlucchiano a un funerale, andando appresso al morto. No, era tutto organizzato da lunga pezza dagli “sherpa” dei due governi, come rivela la BBC, supervisionati da Rex Tillerson, Segretario di Stato Usa, e da Sergei Lavrov, Ministro degli Esteri di Mosca. Putin e Trump si sono limitati a offrire il loro “imprimatur” come due ventriloqui, col Presidente americano che sudava freddo pensando ai possibili (e quasi scontati) attacchi della critica nei prossimi giorni. Ma tant’è. Il Cremlino ha messo in moto il tritacarne mediatico, spifferando tutto in un comunicato che è più lungo della fame.

Un documento che, stringi stringi, conferma che, almeno in Medio Oriente, le due superpotenze marciano di conserva e tengono i rispettivi canali militari aperti, scambiandosi informazioni e concordando attacchi. E spartizioni, perché la zuffa, si sa, è sempre per la “coperta”. Il feeling continuerà fino a quando l’Isis non sarà sconfitto, e poi ci penserà il Signore. Tutto ciò non avviene per caso, ma rispetta lo spirito e la lettera dell’accordo sottoscritto da Usa e Russia qualche giorno fa ad Amman. Un’intesa auspicata e garantita dallo stesso Re di Giordania, Abdullah. Il “Memorandum dei Principi”, in sostanza, ferma sulla carta quello che già si sapeva “unofficially”, e cioè che Putin e Trump, Fbi o non Fbi, vanno più d’amore e d’accordo di quanto si credesse. O si ammettesse. Nel comunicato del Cremlino si richiama l’osservanza della Risoluzione Onu n. 2254 e l’impegno del Presidente siriano Assad a rispettarla. È il massimo che i russi hanno potuto fare per salvare le terga del “rais” di Damasco, che Obama, all’inizio, voleva sotterrare di missili e che poi, invece, dietro le quinte, ha cominciato a lisciare. In cauda venenum, la nota stampa del Cremlino si conclude ricordando anche il solenne impegno americano “a rispettare l’integrità territoriale del Paese e a risolvere pacificamente la crisi fino a libere elezioni, cui dovranno poter partecipare tutti i siriani”. Magari con Assad capolista degli “impresentabili”.

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