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Britannici ci ripensano, 'il 51% non vuole più Brexit'

LONDRA - Ci sono i segnali di un ipotetico ripensamento fra i britannici sulla Brexit. Secondo un sondaggio pubblicato oggi dall'Independent, quotidiano noto per le posizioni filo-Ue, se si votasse nuovamente sull'addio all'Unione il risultato si ribalterebbe, col 51% favorevole al Remain e il 41% al Leave. Questo però non scompone la premier Theresa May che prova a riaffermare la sua autorità promettendo che il divorzio da Bruxelles lo condurrà in porto, a dispetto di chi nel suo stesso partito tenta di strattonarla verso una linea soft o una ancora più hard. A prendere per buono il sondaggio della società demoscopica Bmg Research (dopo le previsioni errate negli ultimi anni da parte di diversi istituti) il distacco di 10 punti fra britannici contro e a favore della Brexit è il più grande mai registrato dalla consultazione popolare del 23 giugno 2016.

 

Uno spostamento di consensi in questo senso è stato rilevato anche da altre fonti, come ad esempio l'autorevole YouGov, sebbene, come sottolineano gli esperti, questo non significa che i sudditi di sua maestà vogliano interrompere il processo di uscita già intrapreso. Qualche segnale però c'è. Come sottolinea anche il presidente del Parlamento Europeo, Antonio Tajani: "Certamente più si va avanti, più si rendono conto dell'errore commesso", ha detto spiegando che "se i britannici volessero fare marcia indietro poi tutti gli stati dell'Unione Europea dovrebbero accettare".

 

Ma più di tutti non vuole interrompere il processo la premier May che proprio oggi ha lanciato una offensiva mediatica sui domenicali più vicini al suo partito conservatore, Sunday Telegraph e Sunday Express, affermando che il suo governo non si fermerà nella Brexit e porterà a termine un "accordo ambizioso" con Bruxelles. L'intervento del primo ministro arriva dopo la cocente sconfitta ai Comuni su un emendamento alla Withdrawal Bill, la legge quadro sul divorzio dall'Ue, in seguito a una ribellione di 12 deputati Tory. May ora punta tutto sul suo personale successo ottenuto a Bruxelles con il via libera alla fase due dei negoziati e sottolinea che i "pessimisti avevano torto" e che non c'è limite alla "ambizione e alla creatività" di Londra nel raggiungere una intesa finale con l'Ue.

 

Però la premier deve sempre fare i conti coi dissidi interni al suo partito. In primo luogo con Boris Johnson, che torna a indicare le sue linee rosse in senso euroscettico nel dossier Brexit. In una intervista al Sunday Times, il ministro degli Esteri ha sottolineato come la Gran Bretagna non debba diventare uno "stato vassallo" dell'Unione una volta che sarà definito un accordo commerciale. "Quello che ci serve è qualcosa di nuovo e ambizioso, che ci permetta di avere un commercio senza dazi e frizioni ma che ci dia anche quella fondamentale libertà di decidere della nostra cornice regolamentare, le nostre leggi e fare le cose in un modo originale nel futuro". Le affermazioni di Boris arrivano prima di un cruciale consiglio dei ministri in programma martedì, in cui verrà stabilita la linea che Londra adotterà nella prossima fase di negoziati. Un altro monito per May arriva da alcuni Lord conservatori: anche nella camera alta c'è la possibilità di una 'ribellione' contro le indicazioni del governo, qualora fossero troppo rivolte ad una hard Brexit, sulla legge quadro per il divorzio dall'Ue, come già avvenuto ai Comuni. Una notizia positiva per la premier riguarda la nuova 'rivolta' che alcuni suoi deputati preparavano sull'inserimento della data esatta (29 marzo 2019) dell'addio all'Ue nel testo di legge: si sta lavorando ad un compromesso per evitare che il governo sia nuovamente battuto in Parlamento.

 

 

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