Deficiente, idiota e in preda a un comportamento infantile. I “consiglieri” e i suoi principali collaboratori alla Casa Bianca avrebbero questa non proprio edificante opinione del Presidente. Lo scrive Michael Wolff nel suo libro “Fire and Fury: inside the Trump White House” diventato (e ti credo!) un best seller in poche ore. Wolff praticamente “asfalta” l’ex Palazzinaro, citando un sacco e una sporta di situazioni che definire “imbarazzanti” è dire poco. Compresi i dubbi sul suo equilibrio mentale avanzati da Rex Tillerson, attuale Segretario di Stato (che, ovviamente, adesso smentisce ogni cosa).
Secondo l’autore delle 320 pagine, Trump sarebbe un mezzo nevrotico, malato di protagonismo, interessato soltanto a essere al centro dell’attenzione. E il Presidente come ha reagito? Beh, per ora su “twitter” si è solo autodefinito… “un genio”. Non senza avere disperatamente negato di essere mai stato intervistato da Wolff. Poi ha mosso la cavalleria leggera, nell’attesa di passare alla bombarda. In precedenza, aveva bollato il volume come “phony” (fasullo), facendo spedire dai suoi legali una lettera all’editore, Henry Holt, per avvertirlo che l’opera non solo cita falsità ma è anche diffamatoria. Aggiungendo la minaccia di richieste risarcitorie ultramilionarie.
Per niente impauriti (anzi…) gli stampatori del macigno a forma di libro hanno anticipato l’uscita di “Fire and Fury”. Secondo il New York Times, Trump è imbufalito per le pesanti affermazioni sul figlio, Donald Jr., che sarebbero state fatte da Steve Bannon (detto “Sloppy”, cioè sciatto e maldestro), ex collaboratore del Presidente dimessosi (o, meglio, silurato) per clamorose divergenze. Il comportamento di Donald Jr. viene ritenuto «non patriottico, da tradimento», per gli incontri avuti con i russi. Ce n’è anche per la figlia Ivanka, giudicata «stupida come un mattone». Trump non mette in dubbio la veridicità delle parole di Bannon e replica accusandolo di essere «uscito di testa» e «di non avere avuto niente a che fare con lui o con la sua Presidenza». Per la verità a tre quarti dell’’America era sembrato il contrario… In verità, Bannon ha ribadito la sua fedeltà all’ex “patron”. Sarah Huckabee Sanders, capo ufficio stampa della Casa Bianca, ha espresso un giudizio tranchant su Bannon: secondo lei dovrebbe essere cacciato dal “Breibart show” senza esitazioni. Il che dimostra come Trump sia sul “vendicativo spinto”. Capita, specialmente a quelli che si sentono al centro dell’universo e invece sono solo “periferia”.
Sempre il New York Times ricorda come Bush-figlio risolse un analogo problema: disse ai suoi collaboratori di non calcare troppo la mano e di “perdonare” l’autore (Scott McClellan) delle clamorose rivelazioni sugli imbrogli, fabbricati a tavolino, dell’ultima Guerra del Golfo. Tutto questo per evitare guai peggiori. Ma, aggiunge il prestigioso quotidiano americano, “perdonare” non è nelle corde caratteriali di Trump. E nei prossimi giorni si prevede una controffensiva a 360 gradi della Casa Bianca.
Una strategia che è già cominciata su altri terreni, ben più insidiosi, come quello dell’inchiesta formale sul “Russiagate”. Due senatori repubblicani (Charles Grassley e Lindsay Graham) hanno chiesto di aprire un’inchiesta su Christopher Steele, l’ex spia inglese che ha fabbricato il dossier anti-Trump sui rapporti con Putin e l’ha poi passato all’Fbi. Chiara l’intenzione di dimostrare che le indagini del Federal Bureau sono basate su un papocchio di informazioni false. La controffensiva della Casa Bianca si allarga anche ai Clinton, sia sull’affaire delle mail postate con leggerezza, sia sul ruolo della sua Fondazione. Naturalmente, tanto per certificare la sua posizione “super partes”, l’Fbi ha ripreso a scavare sui due filoni d’inchiesta che erano già stati chiusi senza ulteriori danni per i Democratici. Insomma, dopo lo scontro per le Presidenziali, adesso la gara sembra basata sulla corsa a mettere più fango possibile nel ventilatore. Di questo passo, Oltreoceano finirà per saltare il banco. E le pere le pagheremo tutti.