Continua l’offensiva diplomatica della Casa Bianca contro l’Iran. Una strategia studiata dagli “adviser” di Trump (e probabilmente da israeliani e sauditi) per rovesciare i piani di Barack Obama, che puntavano a una stretta sinergia col blocco sciita, per controbilanciare il ruolo incalzante (e molto più pericoloso) rivestito dall’universo sunnita. A cominciare dal campo dell’Isis e del terrorismo. Ora, dopo le voci su un progetto della Cia per destabilizzare la teocrazia persiana e lo scoppio delle rivolte “popolari” (ma non tanto) teleguidate dall’estero, il polpettone della “foreign policy” trumpiana si arricchisce di nuovi ingredienti: un pugno di sale grosso e pepe di cayenna, capace di rendere indigesta la pietanza anche per i gourmet più rustici.
In sostanza, viene rimesso in discussione tutto l’impianto dell’accordo sul nucleare e non vengono trascurate provocazioni collaterali, come quella delle sanzioni imposte all’ayatollah Sadeq Amoli-Larijani, capo della suprema magistratura religiosa. È ritenuto un “duro e puro”, nemico dei riformisti, tutto legge coranica e staffile. Larijani fa parte del Guardian Council, un organismo che ha potere di veto su leggi e candidati al Parlamento e si è scontrato ripetutamente col Presidente, Hassan Rouhani, di cui non condivide l’approccio di più larghe vedute. A cominciare dalla libertà di stampa e proseguendo con le sue foie per le carcerazioni tanto al chilo. Ma il vero obiettivo della Casa Bianca è quello di affossare l’accordo sul nucleare. Gli adviser del Presidente gli hanno suggerito di trattare l’Iran come la Corea del Nord, non guardando solo al rischio rappresentato dalle atomiche, ma anche a quello dei vettori missilistici, indispensabili per recapitare a destinazione le testate nucleari. Gli ayatollah sono su tutte le furie, dopo l’ennesimo colpo di teatro che Trump si è inventato. Non solo gli Usa cercano di aizzare anche l’Europa contro l’Iran, ma hanno anche chiesto di stracciare alcune parti dell’accordo, come quella relativa ai limiti temporali (2025) imposti per l’arricchimento dell’uranio.
Ma a Teheran la rabbia anti-americana monta anche per un altro motivo. E cioè, le sanzioni economiche stanno rientrando dalla finestra, prendendo a pretesto i diritti umani e la repressione contro le manifestazioni di piazza. Comunque sia, il Ministro degli Esteri, Javad Zarif, ha ribadito seccamente che il “solid deal” raggiunto con la precedente Amministrazione Usa non si tocca manco di un punto e virgola. E che se Trump si è messo in testa di emendarlo è completamente fuori strada. Perché l’Iran reagirà. Come? Non si sa. Per ora gli ayatollah sparano a casaccio, ma presto potrebbero aggiustare la mira.
Il Medio Oriente è vasto e di opzioni sul tavolo ne hanno tante. Dalle interferenze su Siria, Libano e questione curda, fino all’estrema ratio: la chiusura dello Stretto di Hormuz. L’Occidente è avvisato. E anche Trump, che forse farebbe meglio a darsi una calmata. Gli ayatollah fanno anche sapere che non si sognano manco per idea di legare il patto sul nucleare alle eventuali modifiche del “Jcpcoa”, il “Joint Comprehensive Plan of Action”. Ricordiamo che l'Iran ha accettato di eliminare le sue riserve di uranio a medio arricchimento, di tagliare del 98% le riserve di uranio a basso arricchimento e di ridurre di due terzi le sue centrifughe a gas per tredici anni. Per i successivi quindici anni l'Iran potrà arricchire l'uranio solo al 3,67%. L'Iran si è anche impegnato a non costruire alcun nuovo reattore nucleare ad acqua pesante nello stesso arco di tempo. L’incarico di monitorare il rispetto del patto spetta all'Agenzia internazionale per l'energia atomica (Aiea). Dal canto suo, dopo un’intesa raggiunta col Congresso, il Presidente degli Stati Uniti deve autorizzare e rinnovare ogni quattro mesi la sospensione delle sanzioni.
Trump però è stato chiaro: questo potrebbe essere l’ultimo via libera. Più che trattare con l’Iran, però, la Casa Bianca dovrà convincere il “5+1” (tra cui Russia e Cina) a modificare gli accordi. Se Trump pensa che i patti possano essere allargati, si sbaglia. Le regole della diplomazia internazionale non funzionano come quelle dei cantieri edili, dove l’ex Palazzinaro dettava legge.
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