Come era stato già anticipato, la Turchia intende sfruttare il pandemonio scatenato in Siria da anni per liquidare, una volta per tutte, il problema curdo. Obiettivo ambizioso e irrealizzabile a nostro avviso, ma che, in questa fase di caos diplomatico e di confusione sui campi di battaglia, potrebbe spingere Ankara a compiere mosse azzardate. E, infatti, le ultime notizie dicono che nel nord della Siria la Turchia è entrata in guerra. Ieri, aerei di Ankara hanno violato lo spazio aereo di Damasco colpendo la città di Afrin, che l’artiglieria di Erdogan già martella da venerdì. Il precipitare della crisi ha indotto russi e americani a consultarsi di gran corsa. Il generale Gerasimov, capo di Stato maggiore di Mosca ha parlato telefonicamente con il suo omologo del Pentagono, Joseph Dunford; mentre il primo ministro turco, Binali Yildrim, annunciava ufficialmente l’apertura delle ostilità contro i curdi, affermando che “è cominciata la distruzione delle milizie del PKK e del YPG. Certo, Ankara sta sfidando lo scomodo alleato americano e cerca una sponda a Mosca. Nei giorni scorsi il Capo di Stato maggiore turco e il direttore dell’intelligence si sono recati al Cremlino. La visita del generale Hulusu Akar in Russia è stata seguita dalla mossa di Putin, che ha ordinato ai suoi “consiglieri militari” (in verità unità da combattimento) di lasciare subito Afrin “per questioni di sicurezza”. O, forse, più probabilmente, per favorire senza ulteriori danni collaterali l’attacco studiato dagli strateghi di Erdogan. Un paio di giorni prima, il generale Akar, che guida le forze armate turche, tra le più importanti della Nato, aveva incontrato a Bruxelles gli alti papaveri dell’US Army (proprio nella persona del generale Joseph Dunford) chiedendo al Pentagono di… girarsi dall’altro lato, gettando i curdi a mare, in acque procellose infestate dai pescecani anatolici. Trump (e per lui Dunford) ha seccamente rifiutato, aprendo di fatto un’altra crisi di quelle spinose. Questa volta nel cuore dell’Alleanza atlantica. Erdogan ha informato il suo Parlamento dell’imminenza dell’attacco ad Afrin e ha manifestato tutta la sua contrarietà (è un eufemismo) per l’atteggiamento della Casa Bianca. Insomma, il solco tra Turchia e Stati Uniti si allarga. Tutto miele per le orecchie di Putin. La cui decisione di ritirare le truppe russe da Afrin, segnala che i servizi segreti di Mosca prendono molto sul serio la politica di Erdogan. Che, dal canto suo, ha accelerato i preparativi per l’offensiva anti-Afrin, per colpa dell’ennesima “trumpiata”: il Presidente Usa ha fatto annunciare, improvvidamente, la creazione di una “forza mista” di ben 30 mila uomini, costituita da soldati americani e da miliziani curdi. In buona parte provenienti dai ranghi del YPG. Proprio questo gruppo, rivolgendosi ai turchi e ai ribelli siriani, ha lanciato pesanti minacce. “Siamo pronti a seppellire a uno a uno tutti quelli che ci attaccheranno” ha detto il loro portavoce. Il Ministro della Difesa turco, Nurettin Canikli, però non si è fatto impressionare. “L’operazione Afrin – ha detto - è già cominciata. Cacceremo i terroristi dalla parte nord della Siria”. Tutto da vedere. Secondo diversi specialisti, per le forze armate di Ankara l’attacco non sarà una passeggiata e attraversare anche la sola linea di confine comporterà dei problemi. Intanto, bisognerà vedere quale sarà la reazione di Washington, che a un centinaio di chilometri da Afrin ha la munitissima base di Manbij. Pe ora il Pentagono ha deciso di equipaggiare le milizie YPG con armi leggere e missili terra-aria individuali (“Stiinger”?), capaci di abbattere gli aerei di Erdogan che sosterranno l’offensiva. Comunque, è opinione generale che, nelle prime fasi del conflitto, i curdi resisteranno efficacemente. C’è poi la posizione, ovviamente molto dura, assunta da Bashar al-Assad. Il governo di Damasco ha fatto sapere ai turchi che considererà l’attacco ad Afrin come “un vero e proprio atto di aggressione contro la Siria”, e che reagirà di conseguenza. Per ora, ha ordinato di far passare liberamente tutti i rifornimenti diretti nel Kurdistan siriano. Tra le atre cose, lo spazio aereo sopra Afrin è controllato dai russi, che potrebbero decidere di abbattere in qualsiasi momento i jet di Erdogan. Gli analisti militari ritengono che i curdi potrebbero lanciare nella mischia circa 30 mila uomini, armati fino ai denti. Vere “pellacce” indurite dalla sanguinosa guerra allo Stato Islamico.
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