Ci sono capitani coraggiosi il cui esempio può dare una scossa positiva su più fronti, un segnale di incoraggiamento a tanti altri che stanno ancora alla finestra, che hanno paura di rischiare e di investire sui propri territori. L’operazione Gazzetta del Sud-Giornale di Sicilia, condotta in porto dalla Ses, è una sferzata d’ottimismo per la Sicilia e la Calabria, e non solo sul versante dell’editoria.
I governatori delle due Regioni, Nello Musumeci e Mario Oliverio, i sindaci della Calabria e delle tre Città metropolitane della Sicilia, Enzo Bianco (Catania), Leoluca Orlando (Palermo) e Renato Accorinti (Messina), pur se collocati su posizioni politiche diverse, hanno tutti fatto convergere la propria analisi su un punto essenziale: il concetto di «unione che fa la forza» va esportato a tutti i livelli. La Sicilia con la sua svilita specificità e la sua tormentata autonomia, la Calabria con la sua voglia repressa di ribaltare luoghi comuni e processi “autodistruttivi”, sono – come è stato ricordato durante il convegno di giovedì al Teatro Vittorio Emanuele di Messina – due regioni che insieme assommano una popolazione di oltre 7 milioni di abitanti, una vera nazione. «L’unione fa la forza» – lo hanno ripetuto tutti i rappresentanti delle istituzioni calabresi e siciliane – significa ragionare in termini di Aree vaste, pianificare programmi e interventi comuni, condividere battaglie, interloquire con forza con il resto delle Regioni, con il Governo centrale e con la stessa Unione europea. Ribaltare, con una visione di sistema, la logica asfittica e perdente del meridionalismo piagnone e fine a se stesso. La Ses, la famiglia Morgante, assieme ad Ardizzone e al suo Giornale di Sicilia, ha dato un assist formidabile, che va colto da tutti, al di qua e al di là dello Stretto.
È una fase storica per certi versi decisiva per la Sicilia. Lo ricorda il vicepresidente e assessore regionale al Bilancio Gaetano Armao, reduce da un confronto importante con il governo Gentiloni. Lunedì verrà presentato il Rapporto sull’economia dell’Isola, uno snodo fondamentale per analizzare lo “stato dell’arte” e per pianificare le strategie future. «Il 2018 sarà un anno di svolta», afferma Armao e spiega anche il perché: «Questo sarà l’anno in cui per la prima volta il Pil della Sicilia, il Prodotto interno lordo, si attesterà sui 90 miliardi di euro. È una crescita ancora troppo lenta, dell’1,1 per cento, inferiore rispetto a quella dell’Italia, ma è anche il segnale che il periodo più buio della storia della nostra Isola forse può essere messo alle spalle. Noi guardiamo al futuro. Vogliamo una crescita molto più robusta e abbiamo anche le idee chiare su come arrivare in tempi brevi a percentuali più sostanziose e confortanti».
In questo momento, con l’incontro tra Armao e il ministro della Coesione territoriale De Vincenti si è avviata, se non una vera e propria vertenza (che poi rischia di produrre un effetto boomerang), quanto meno un’interlocuzione forte. «La Sicilia vuole ridiscutere i Patti finanziari – afferma il vicepresidente della Regione –, lo diciamo serenamente ma con fermezza. Faremo in modo che il gettito fiscale siciliano resti in Sicilia. Qualche segnale positivo si è già riscontrato nell’ultima Legge di bilancio dello Stato, alcune nostre istanze sono state recepite, ma adesso dobbiamo proseguire in questo percorso, che porta alla vera attuazione di un federalismo in grado di tenere assieme tutte le parti del Paese, in una logica, però, di ripensamento del vecchio centralismo statale e regionale».
Forti investimenti e nuovi strumenti: questo è il “mantra”. Il premier Gentiloni a Messina ha parlato di «ossessione» che deve accomunare tutti coloro che hanno a cuore la “res publica”, il chiodo fisso della creazione di opportunità per rilanciare lavoro e occupazione, soprattutto in favore dei giovani, così da evitarne la fuga dal Sud. «Noi la “questione meridionale” l’abbiamo già posta sul tavolo romano – aggiunge Armao –, il Patto per il Sud finora non è stato attuato, ora cominceremo a realizzarlo. Ci vogliono grandi investimenti infrastrutturali. Ma abbiamo pensato anche a innovativi strumenti di attrazione degli investimenti: dobbiamo mettere nelle migliori condizioni tutti coloro che vogliono investire qui in Sicilia, purché la ricchezza che loro producono ricada in favore dei nostri territori. Lo ribadisco, la crescita c’è ma è ancora troppo lenta, se dovessimo continuare di questo passo, torneremmo nelle condizioni pre-2016, cioè quelle prima della grande crisi decennale, soltanto nel 2030. No, non ce lo possiamo permettere. E per accelerare la ripresa dobbiamo, da un lato, rimuovere quel “nodo scorsoio” che proviene dal “patto” accettato negli anni scorsi, che oggi rischia di strangolare l’economia dell’Isola. Noi non vogliamo allentare il rigore di bilancio, non è tempo di far baldoria, ma non possiamo neppure essere schiavi di un meccanismo infernale, che ci porta a restituire allo Stato tutti i soldi che ci vengono assegnati, senza neppure poter incassare risorse che sono assolutamente nostre, come quelle derivanti dalla raffinazione del petrolio. Abbiamo chiesto come primo punto al Governo di ridiscutere e limitare l’impatto del 3 per cento della riduzione della spesa. Vogliamo poter investire nei settori che noi siciliani consideriamo cruciali, come il turismo, lo sport, la cultura, l’assistenza sociale, la lotta alla povertà, la sanità».