Lunedì 23 Dicembre 2024

Siria, primo rovinoso scontro tra Usa e Russia

Siria, primo rovinoso scontro tra Usa e Russia

Le cose in Siria stanno prendendo una brutta piega: circa 200 consiglieri militari russi (ma forse sarebbe più corretto parlare di mercenari) sarebbero stati uccisi o feriti, la scorsa settimana, nel corso di un’offensiva lanciata dalle milizie ribelli sunnite sostenute dagli Usa. Secondo gli specialisti del think-tank israeliano “Debka”, si tratta del primo grave incidente che vede coinvolte le due grandi potenze, che finora erano riuscite a far coesistere il loro interventismo con la necessità di evitare incontri ravvicinati, forieri di grosse rogne.

L’attacco era diretto contro le forze governative di Damasco e i loro alleati sciiti. Iraniani ed Hezbollah. Tra i bersagli dell’offensiva coordinata dagli americani c’erano anche uomini della milizia sciita afghana, truppe pro-Assad delle Syrian National Defense Forces, esponenti di tribù arabe locali e, appunto, i mercenari russi assoldati da un contractor privato di Mosca, la “Wagner”.

La manovra Usa è stata di quelle “a basso rischio”. Sono stati usati infatti aerei F-22 Raptor, F-15 Strike Eagles, Air Force AC-130 (meglio conosciuti come “cannoniere volanti”) ed elicotteri d’attacco al suolo “Apache”. Il tutto completato da un massiccio tiro artiglieria dei Marines. Nell’attacco pare che siano anche stati utilizzati piccoli reparti del Gruppo Operazioni Speciali. Il ribaltamento della strategia militare della Casa Bianca, che finora aveva accuratamente evitato di scontrarsi con i russi, era cominciato una settimana fa circa, quando erano state colpite squadre di ingegneri e tecnici di Putin incaricati di gettare un ponte mobile sull’Eufrate, nei pressi di Deir ez-Zour. Per la verità, gli americani erano anche intervenuti per arginare un attacco di siro-iraniani e di Hezbollah, condotto con carri T-55 e T-72, contro una base delle Syrian Democratic Forces, nei pressi di Tabiye.

Il portavoce di Putin, Dimitri Peskov, ha evitato ogni commento sull’accaduto, aggiungendo che il suo governo si preoccupa di “contabilizzare” solo le perdite delle forze armate ufficiali e non si interessa della eventuale sorte dei mercenari ingaggiati da Damasco. In ogni caso, spifferi di corridoio parlano della crescente irritazione del Cremlino nei confronti di Trump, forse colpevole di rimangiarsi tutti gli accordi non scritti assunti con Mosca. Mai resi pubblici, perché l’affaire del “Russiagate” sta lievitando e rischia di travolgerlo rovinosamente.

Intanto, la situazione resta bollente anche in altre aree della regione, dove, con un effetto-domino, si fanno sentire i contraccolpi della guerra in Siria. Per esempio, appare sempre più chiaro che il Sinai resta ormai una delle ultime frontiere del Califfato. Dopo la sconfitta sui campi di battaglia, le schegge impazzite dell’Isis, fiancheggiate dalle tribù beduine della regione, stanno cercando di fare della Penisola una nuova roccaforte del terrorismo. El-Sisi, presidente-generale egiziano, saltimbecca dall’odio viscerale per il radicalismo sunnita alla supponenza da condottiero, stile Tutmosi III. E non cede di un millimetro, rispondendo colpo su colpo. Sa di essere seduto su un barile di polvere da sparo, perché l’Egitto di oggi non è proprio un Giardino dell’Eden e la fame si taglia col coltello. Il passo, dalle rivendicazioni sociali allo scontento mascherato da “irredentismo” religioso è breve, e il rischio che il Paese salti in aria si fa sempre più concreto.

Tutto questo basta e avanza per spiegare le continue operazioni di “contro-terrorismo” ordinate dal nuovo faraone nel Sinai, dove il grande Paese arabo si gioca la credibilità. Cosa che tradotta in maniera più prosaica significa, soprattutto, il materializzarsi di una bella catasta di dollari. Quelli depositati ogni anno grazie ai flussi turistici che portano un fiume di valuta pregiata. Tutto questo spiega l’ultima “setacciata” contro i jihadisti che ha causato la morte di una sessantina di terroristi e la cattura di quasi settecento tagliagole, allievi di Abu Bakr al-Baghdadi. El-Sisi è costretto, quindi, a tenere alta la guardia. Alle sue spalle premono ottanta di milioni di senza-casta. Basterà giocare d’anticipo per evitare una possibile sollevazione, che sarebbe devastante?

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