"Paolo Gentiloni è divenuto punto essenziale di riferimento per il futuro prossimo, e non solo nel breve periodo, della governabilità e della stabilità politica dell'Italia". Giorgio Napolitano scolpisce nella campagna elettorale un pesante endorsement per il presidente del Consiglio. Dopo quella di Romano Prodi, un'altra voce autorevole del centrosinistra 'candida' Gentiloni a succedere a se stesso. Lo farà probabilmente anche Walter Veltroni, in un evento con il premier in programma domenica a Roma, dall'eloquente titolo: "Le idee della sinistra di governo". Ma a dieci giorni dalle elezioni Matteo Renzi è impegnato soprattutto ad arginare il rischio di rassegnazione per sondaggi che fino a qualche giorno fa davano il Pd in affanno. E a non dare, come ha a più riprese avvertito Gentiloni, l'idea che il voto sia irrilevante perché è tutto già deciso. Perciò il segretario del Pd, nei diversi impegni della campagna elettorale in Sicilia, suona la carica: "Ci separano dal voto dieci giorni che valgono cinque anni". Assicura che "la partita è totalmente aperta". E nega anche con nettezza lo scenario delle larghe intese: "Berlusconi ha ragione quando dice che è inutile pensare a larghe intese con il Pd. Ha torto - aggiunge - quando dice che il Pd non tiene". Il segretario smentisce così l'ipotesi di una frattura nel partito, dopo il voto, al tavolo del governo. Ma il "dopo", ammettono i Dem, si annuncia burrascoso. Da ultime, sono giunte la rottura del partito in Alto Adige e le critiche dei Giovani democratici (a partire da un tema caro a Renzi come il Jobs act). Avvicinarsi quanto più possibile al 25% di Bersani è imperativo non solo per provare ad affermarsi come primo gruppo parlamentare e dare le carte, ma anche per evitare che scatti subito il 'redde rationem' interno. Ma Renzi taglia corto: "Le dimissioni in caso del Pd al 20%? Assolutamente no. Ma il Pd sarà primo. Sembra - scherza - un 'Ricordati che devi morire'". Intanto Gentiloni è sempre più 'frontman' ("Punta di diamante", lo definisce Maurizio Martina) della campagna Pd. L'ex presidente della Repubblica gli consegna un premio dell'istituto di politica internazionale Ispi.
E diventa l'occasione di un endorsement: con il suo governo, afferma Napolitano, è cresciuta la "dignità e l'influenza dell'Italia in tutte le sedi internazionali" e Gentiloni ha "conquistato piena fiducia tra gli italiani" e all'estero. Il premier ringrazia Napolitano del suo "senso delle istituzioni" ma sul suo futuro si limita a ribadire, in una lettera inviata ai suoi elettori del collegio Roma 1: "Potrete contare su di me, sul mio impegno per Roma e per la nostra amata Italia". Aggiunge al suo messaggio un "se sarò eletto", Gentiloni. Come a ricordare che prima c'è il passaggio non scontato delle elezioni. Da LeU Pietro Grasso dice chiaro e tondo che non tutta la sinistra è entusiasta del premier: "Gentiloni ha un grande merito che è quello di aver riportato la serenità al governo ma ha proseguito le politiche di Renzi, in piena continuità.
E non dimentichiamo che sulla legge elettorale ha chiesto otto fiducie". Ma Gentiloni, nella lettera ai suoi elettori, "senza trionfalismi" rivendica ai governi Pd di aver portato il Paese fuori dalla crisi. Ora "guai a buttar via i primi risultati ottenuti col sacrificio degli italiani. Sento in giro molte promesse mirabolanti. Non c'è da fidarsi", avverte. E mentre Renzi rivendica "un milione di posti di lavoro" e l'obiettivo futuribile della "piena occupazione", da Milano Gentiloni sottolinea che il "disagio sociale" si traduce "in reazioni di contestazione di tipo nazionalistico, ostile ai Paesi vicini", cui non bisogna cedere.