Dunque, Trump, la Merkel e Macron sono “preoccupati” per le armi russe di ultimissima generazione, orgogliosamente mostrate dal capo del Cremlino. Ma la verità (che nessuno dice) è che Putin avrebbe voluto rinegoziare immediatamente il trattato nucleare sui missili balistici intercontinentali, che scade tra tre anni. L’intesa, meglio nota come “New Start”, era stata siglata da Barack Obama. Quando Trump ha chiesto informazioni ai suoi consiglieri, i quali gli hanno riferito che l’accordo con i russi era stato raggiunto dal vecchio e odiato Presidente Usa, il nuovo inquilino della Casa Bianca non ha voluto saperne manco a brodo: ha detto di prepararsi a stracciare tutto e di cominciare a rispondere di no a qualsiasi proposta di Mosca. Con questi chiari di luna, nessuno si può meravigliare se i russi hanno deciso di andare per la loro strada, sfidando gli Stati Uniti su un terreno molto bollente, come quello della proliferazione nucleare anti-missile. Intendiamoci, l’obiettivo di Putin non è tanto quello di impaurire Trump, ma piuttosto di farlo ragionare. Secondo il nuovo zar di tutte le Russie, la fase di transizione diplomatica che stiamo vivendo è molto delicata. Il mondo si avvia a essere governato da una triplice polarità. Stati Uniti, Russia e Cina sembrano avere tutte le caratteristiche per diventare leader globali incontrastati, all’alba del Terzo millennio. Il vero problema è che anziché accordarsi sulle strategie di fondo per gestire il pianeta, i tre grandi marciano su linee parallele. Gli Stati Uniti sono preda di nuove spinte isolazionistiche e si stanno concentrando su progetti di “supremazia” elaborati prima della seconda guerra del Golfo dai falchi del PNAC “Project for the New American Century”, tutti raccolti attorno a Dick Cheney e Donald Rumsfeld. Mosca, invece, è sostanzialmente impegnata a recuperare il vecchio prestigio, crollato in una nuvola di calcinacci assieme alla falce e martello e al barbone di Carlo Marx. La sua capacità militare resta notevole, come ha finito di ricordare Putin al mondo intero. I suoi interessi strategici, però, non sono esattamente in rotta di collisione con l’Occidente e questo il Cremlino lo sa. A voler essere proprio introspettivi, cercando di capire cosa frulla per la testa di Vladimir Vladimirovic, è probabile che uno dei suoi chiodi fissi sia la minaccia rappresentata dalla tumultuosa crescita del colosso cinese. E siccome le prossime guerre mondiali non si combatteranno sui campi di battaglia, ma sui mercati internazionali, allora il Presidente della Russia, forse un po’ più perspicace dei suoi colleghi americani, ha capito che un’intesa di massima tra Washington e Mosca può in qualche modo calmierare lo sviluppo esponenziale della Cina, in tutti i campi. Soprattutto in quello dell’economia. A partire dalle discussioni sull’arsenale militare, passando per una spartizione di massima del Medio Oriente, arrivando a un “gentlemen’s agreement” sulle sfere d’influenza che riguardi l’intero pianeta, tutto questo percorso diplomatico può diventare la chiave per opporsi allo strapotere di Pechino. Uno strapotere di cui, in questa fase, non si vedono i limiti. Se gli orizzonti temporali di Donald Trump si fermano alla conquista di un improbabile secondo mandato, quelli di Putin vanno ben oltre. Lui non ha problemi di rielezione. No, il suo vero cruccio è costruire un’autostrada ideale per la Santa Russia, concretizzando in un colpo solo quelli che erano tutti i sogni di Pietro il Grande: un Paese che si fa guidare dalla cultura occidentale, ma che conserva un’anima profondamente specifica. Orientale, ortodossa, asiatica, ma anche “asimmetricamente” europea.