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I dazi imposti da Trump? Una mossa da “guappo”

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Si è acceso una sigaretta e ha gettato il cerino in un deposito di benzina. Questo, se volete, il parallelismo più immediato che ci viene in mente per descrivere la disastrosa mossa di Donald Trump sui dazi doganali. Anche l’Economist, nella sua copertina, ci va giù pesante. Con una vignetta in cui il faccione del Presidente Usa acquista le sembianze di una bomba a mano. “The Bible” titola sottolineando come il sistema di regole su cui è basato il commercio internazionale sia in grave pericolo. Per usare un eufemismo.

Che la nuova amministrazione americana fosse tentata da foie isolazionistiche lo sapevamo già, ma che arrivasse a distruggere ciò che restava dei principi del libero scambio ce lo aspettavano fino a un certo punto. D’altro canto, l’uscita di scena di un consigliere economico del calibro di Gary Cohen faceva presagire i nuvoloni neri che si andavano addensando. Certo, l’Amministrazione Trump non è proprio un modello di coerenza. Come i tram caratteristici che sferragliano su e giù per le colline di San Francisco, si sale e si scende con molta disinvoltura. E senza grande vergogna. Trump sembra un bigliettaio che vede alternarsi passeggeri di spessore senza battere ciglio: ministri, generali, consiglieri per la Sicurezza nazionale, capi-staff. Che la prima superpotenza del mondo sia retta da un capitano che fa andare il caicco a zig-zag, senza seguire una rotta precisa, lascia tutti molto inquieti. Questo è vero per la politica estera, ma è ancora più vero per le grandi decisioni che toccano l’economia del pianeta.

I principi del libero scambio sono alla base della difesa dei consumatori e segnano la discriminante per un equo rapporto costi-qualità di tutti i prodotti, che poi significa benessere. Per tutti. Perché obbliga a produrre meglio e a prezzi più bassi. Il protezionismo è un espediente dei tempi delle ferriere. Oggi chi lo pratica dimostra non solo di essere un grande ignorante dei principi della teoria economica, ma anche un povero illuso, perché pensa di mettere pezze a un sistema che fa acqua da tutte le parti. Lavorare, lavorare, lavorare, predicano i cinesi. Consumare, consumare, consumare, replicano gli americani.

Promettere senza mantenere è ormai uno sport consolidato tra i politicanti di tutto il globo. Tanto a pagare poi ci pensa Pantalone. Però… però, est modus in rebus, dicevano i latini. Dietro la mossa di Trump non ci sono solo motivazioni, alquanto contorte, di teoria economica. Mettere la gabella (25% sull’acciaio e 10% sull’alluminio) non ha grande senso a guardare i numeri. Le due voci rappresentano solo il 2% dei 2,4 trilioni di dollari di import Usa. Un misero 0,2% del Pil. Né contribuiscono ad alleviare le ferite di una bilancia commerciale in profondo rosso strutturale (la bellezza di -818,7 miliardi di dollari). Mentre i concorrenti sgobbano (Area Euro +270,7 miliardi di dollari; Cina addirittura +437,7 miliardi). Ora, se Trump vuole bucare il pallone perché gli altri giocano meglio di lui, faccia pure. Fino a quando il suo Paese glielo lascerà fare. Le motivazioni costituzionali sono deboli. I dazi sono “figli” di una strategia di difesa degli interessi strategici della nazione, che sarebbero “minacciati” (forse dalla poltroneria degli stessi americani….). Balle. Il vero obiettivo è lanciare una minaccia di sguincio, da guappo, agli “amici” (l’Europa) e ai veri nemici (la Cina). Si comincia così e non si sa dove si andrà a finire.

Gli Stati Uniti, come aveva previsto il Nobel Joseph Stiglitz, stanno facendo rivoltare nella tomba molti “apostoli” della teoria economica, da Milton Friedman a Von Hayek fino a Von Mises. L’ex Palazzinaro, insediatosi alla Casa Bianca per l’insipienza dei suoi avversari, rischia non solo di rompere il giocattolo a stelle e strisce e di azzoppare definitivamente la WTO (la World Trade Organization), ma anche di scatenare la Terza guerra mondiale, quella vera, combattuta nei mercati internazionali a colpi di dazi cervellotici, ritorsioni e contro-ritorsioni. Già la Merkel ha levato il suo grido di dolore, mentre i produttori del raffinato agro-alimentare italiano intravedono mala tempora. Trump? Insomma, lasci stare l’economia e parli di bombe atomiche, che forse fa meno danni…

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